Il Viaggio Immaginario: Racconti di Viaggio

Racconti di Viaggio

BENTROVATI

I viaggi molte volte nascondono delle sfumature molto particolari,questa è la pagina dedicata a voi che avete avuto il piacere di raccontare il vostro viaggio nei minimi particolari!

Il viaggio in Africa raccontato dal nostro Gianluca Bisbinto:


Erano anni che volevo fare un viaggio nel continente nero e finalmente e’ arrivato il momento giusto, un click sul tasto sinistro del mouse ed il biglietto aereo e’ acquistato: saranno 100 giorni giusti giusti e pieni pieni d’Africa, quella vera; e con me ci sara’ anche Alba che ha avuto la pazza idea di seguirmi per l’intero viaggio (ammesso e concesso che resistera’).
Fatti un po’ di vaccini prima della partenza e messo nello zaino tutto cio’ che c’e’ di piu’ vecchio nel mio guardaroba, non ho neanche il tempo di rendermene conto che, dopo uno scalo a El Cairo, atterriamo a Johannesburg. Non appena l’aereo tocca il suolo un passeggero di ritorno a casa, seduto sul sedile accanto, mi dira’: benvenuto in Sud Africa, qui i leoni mangiano gli umani. SPETTACOLO!!! Gia’ mi sento l’adrenalina addosso.
C’è subito un problema d’affrontare, il visto: con il passaporto italiano ci danno 3 mesi, ma noi ripartiremo con qualche giorno in piu’ sulle spalle; l’ambasciata a Roma mi aveva consigliato di chiamare l’ufficio degli Affari Interni non appena sarei atterrato e richiedere un prolungamento del visto al costo di un centinaio di dollari; al nostro arrivo anche il poliziotto in dogana mi ha subito consigliato la stessa cosa. Ma io non sono proprio convinto e decido di aspettare: abbiamo intenzione di uscire dal Sudafrica tra pochi giorni e non rientrare prima di Dicembre, mi pare un po’ superfluo regalare sti soldi al governo sudafricano già da subito, mi prendero’ qualche giorno in piu’ per informarmi meglio su come funzioni veramente la faccenda.
Prima ancora di atterrare si ponevano già i primi dubbi: inizieremo il viaggio verso est oppure verso ovest? L’idea di base e’ quella di fare un cerchio nella parte meridionale dell’Africa e alla fine si deciderà di cominciare verso oriente: mi sembra la decisione piu’ saggia visto che tra un mesotto le piogge arriveranno prima e più forti ad est (e con esse anche il caldo umido e la malaria), quindi proveremo ad anticiparle e man mano che proseguiremo verso ovest tenere le nuvole alle spalle il piu’ possibile.
Il secondo dubbio e’ stato: Kruger si o Kruger no? Troppo commerciale o e’ comunque un bel parco? La risposta e’ stata Kruger si: se il parco e’ cosi’ famoso ci sara’ pure un motivo, lo prenderemo come un buon antipasto per i safari che faremo piu’ avanti quando ci addentreremo nell’Africa più profonda.
La prima sfiga non si fara’ attendere molto: al carrello dei bagagli manca lo zaino di Alba, la quale va subito in tilt; ci tocchera’ fare la denuncia di smarrimento ed attendere. Preleviamo un po’ di contanti al bancomat, ci sediamo a fare colazione e proviamo a respirare un po’ prima di lasciare l’aeroporto.
Il taxi pare sia l’unico mezzo per raggiungere la città di Johannesburg (o almeno cosi’ ci fanno credere) e non e’ proprio a buon mercato; optiamo quindi per l’affitto di un’auto economica che possiamo lasciare dopo qualche giorno direttamente a Nelspruit, città non troppo lontana dal Kruger Park; perciò decidiamo di partire direttamente in quella direzione, semmai avremo del tempo, Johannesburg la visiteremo alla fine del viaggio, prima del volo di ritorno, tanto non e’ proprio in cima alla lista dei luoghi che intendiamo vedere in Africa.
Pronti, partenza, via! Si parte. Volante sulla mano destra e cambio sulla sinistra, era da qualche anno che non guidavo al contrario, proprio come in Inghilterra, ma ci mettero’ poco a riabituarmi. Abbiamo un po’ di paranoia iniziale per quanto riguarda la sicurezza, visto che Jo’burg pare essere una citta’ veramente pericolosa. Finestrini alzati e sicure abbassate, specie ai semafori, in pochi minuti siamo già sull’autostrada e fa molto caldo (ed io che pensavo che da queste parti a Settembre facesse freddino!!!). A parte il paesaggio arido e poco abitato, il tutto sembra organizzato come in Occidente: strade perfette, poliziotti che rilevano la velocita’ con l’autovelox e zone di sosta tipo Stati Uniti, con ristorante, supermercato e bagni pulitissimi. Percorriamo circa 350 chilometri ed intravediamo uno stadio utilizzato nei mondiali di calcio appena terminati; e’ proprio quello dove ha giocato l’Italia!!! Siamo a Nelspruit, chiediamo qualche informazione per orientarci, poi parcheggio un attimo per vedere meglio la cartina ed ecco arrivare la seconda sfiga del primo giorno di viaggio: crash, urto la macchina parcheggiata davanti alla mia con tanto di famiglia sudafricana all’interno dell’auto. La stanchezza si comincia ad avvertire, non abbiamo riposato tanto durante il volo, ma il danno non sembra un granche’, solo un piccolo graffio. Scambio veloce di nominativo, prendiamo i dati per l’assicurazione e via, dritti verso l’ufficio del turismo che sta per chiudere: prendiamo un po’  di depliants, chiediamo dove possiamo dormire per la notte ed il modo migliore per visitare il Kruger Park, ma le informazioni che ci danno sembrano molto devianti, “gli alberghi sono quasi tutti pieni, ma ce n’e’ uno vuoto che vi consigliamo, al parco e’ meglio prenotare subito pagando qualcosina extra in quanto e’ pieno” eccetera eccetera. Non mi fido: ci dirigiamo verso un’ostello consigliato sulla mia guida che la signorina mi aveva dato per tutto esaurito ed ecco trovare un dormitorio da 10 letti tutto per noi (in nottata si aggiungera’ solo un’altra coppia) ed altre stanze completamente vuote. Abbiamo capito che non bisogna fidarsi dell’ufficio informazioni turistiche.
Ci sistemiamo, il posto sembra ben tenuto e pulito, incontriamo i primi viaggiatori ed intanto la manager dell’ostello, dopo aver provato a vendermi un safari nel Kruger Park, mi rassicura un po’ per quanto riguarda il nostro visto di soli 3 mesi sul passaporto; pare ci sia molta gente che esce e rientra in Sudafrica dopo qualche giorno con il semplice scopo di rinnovare il visto turistico, quindi mi consiglia di non chiamare nessun ufficio o ministero e risparmiare i nostri dollari in quanto lei pensa che uscendo dal paese non avremo alcun problema di scadenza. La prendo per buona, archivio la pratica e non ci penso piu’.
In serata ci rechiamo in citta’ per cercare qualcosa da mangiare e finiamo in un festival musicale abbastanza grande e strapieno di gente: sono tutti bianchi, palchi per concerti grandi e ben organizzati, la musica sembra tedesca e si mangiano salsiccie a volonta’; ed io mi chiedo come sia possibile non vedere una persona di colore in mezzo a questa confusione. Saremo mica in Nord Europa? Dopo qualche giorno iniziero’ a capire come, nonostante l’apartheid sia finita piu’ di 15 anni fa, da queste parti i bianchi se ne stanno con i bianchi ed i neri con i neri, l’integrazione tra le diverse razze in Sudafrica e’ ancora un obiettivo lontanissimo da raggiungere; il festival era una festa afrikaans e percio’ bianchi e salsiccie a volonta’. Andiamo a nanna stanchi, per essere solo il primo giorno in Africa mi sembra che abbiamo dato abbastanza.
Ogni viaggio e’ diverso dall’altro, ma questo si presenta già come un’avventura a parte, piu’ estrema e piu’ complicata (oltre che piu’ cara! Eh gia’... la beffa e’ che proprio l’Africa pare non sia il posto piu’ economico al mondo in cui viaggiare). Non c’e’ stato molto tempo per documentarmi, ma mi sono affidato ad un po’ di esperienza, oltre che ad una guida (eh si... per il secondo anno di seguito viaggio con una guida nello zaino, stiamo proprio diventando vecchi), questa volta ho scelto la onnipresente Lonely Planet.

Mattina seguente, sveglia, colazione e si riparte: Nelspruit sembra quasi una cittadina americana, ben organizzata e strade sicuramente migliori di quelle delle citta’ italiane. Sosta al centro commerciale per qualche acquisto utile, visto che dello zaino di Alba difficilmente si avra’ notizia prima di qualche giorno, e si va in direzione Kruger. Arrivati ad un cancello di entrata ci fanno aspettare almeno un’ora, il parco e’ troppo pieno, siamo nel bel mezzo delle vacanze scolastiche sudafricane, che qui e’ come il mese di Agosto da noi; forse l’ufficio informazioni del giorno prima aveva detto qualche verita’ e probabilmente saremo costretti a lasciare il parco in giornata in quanto non ci sono posti disponibili per dormire.
Ma eccoci tra le strade del parco, vediamo i primi animali, cerchiamo le pozze d’acqua per avere piu’ possibilita’ di avvistamento, viste panoramiche, paesaggi aridi ed arriva subito il primo pomeriggio: dopo vari tentativi in un paio di reception dei vari camp pare proprio che non ci siano cancellazioni e quindi niente posto per restare la notte a dormire; dobbiamo lasciare il parco in giornata stessa. Gioco l’ultima carta: telefono ad una guida di un safari organizzato dall’ostello di Nelspruit e alla fine riusciamo ad infilarci in una delle loro tende organizzate con 2 bei letti comodi e per 10 Euro a testa. Sarà la nostra prima notte all’interno di un parco, servizi ben puliti ed organizzati, cena a buffet al ristorante del campo e si dorme con il rumore degli animali che si sentono non troppo lontani dalla recinzione.

Sveglia presto e siamo di nuovo in giro con la macchina affittata a fare un safari in completa autonomia: avvisteremo le prime giraffe, facoceri, impala, uccelli, gli elefanti e i babbuini che ci attraversano la strada, la macchina fotografica inizia a lavorare duro. Unica pecca, il Kruger è un po’ troppo affollato ed ecco in agguato la terza sfiga del viaggio: una fila di macchine nei pressi di un fiume, pare ci sia un felino, forse lo vedo anche, ci sporgiamo fuori dal finestrino per cercare di avvistarlo ed ecco arrivare il ranger che ci consegna una multa di circa 150 Euro. Bisogna stare all’interno dell’auto, e’ la regola, una questione di sicurezza. Tutto mi aspettavo, tranne che prendere una multa per cercare di avvistare un leone, mi rode un po’, il ranger mi consiglia di andare subito in reception a pagare, io gli dico che sarei andato il giorno dopo e mi chiedo cosa mai possa succedermi se non pago una multa in Sudafrica per essermi seduto fuori dal finestrino con la macchina in sosta? In serata dormiremo nella stessa tenda della notte precedente ed un avvocato incontrato per caso nel minimarket del campo mi chiarira’ le idee sulla multa che mi hanno dato qualche ora prima; si mettera’ anche a ridere ed io mi convinco che questa multa non s’a da paga’... ed eccoci entrare nel pieno dell’illegalita’: visto sul passaporto in scadenza dopo 3 mesi ed io che non pagando la multa verro’ in automatico convocato in un tribunale sudafricano alla fine di Novembre.
Per la mattina seguente acquistiamo un’escursione all’alba: camminata a piedi nel parco. Levataccia alle 5, ma sara’ interessante camminare con 2 guide armate sullo stesso terreno che calpestano i grandi animali della savana, ne avvisteremo qualcuno, ma la natura e’ completamente bruciata: la scorsa notte c’e’ stato un mega incendio che ha colpito alcune zone del parco, quindi molti animali sono scappati; pare che il Kruger sia battuto ogni tanto dai piromani e noi eravamo li’ proprio il giorno meno adatto. Continueremo la giornata in giro con la nostra auto, avvisteremo ancora animali, zebre, tartarughe eccetera, ma ancora tanti terreni bruciati e la temperatura è molto calda, quindi decidiamo di lasciare il parco. Mostreremo ad un cancello il permesso di uscita che mi ha dato la guida del camp e alla fine per qualche strana magia finiremo per aver pagato solo un giorno di permesso; abbiamo capito che da queste parti i controlli vengono fatti un po’ alla buona, noi impariamo subito.
La visita al Kruger Park e’ stato un ottimo inizio, ma era un po’ troppo affollato, sembrava quasi di essere allo zoo; strade asfaltate, vegetazione alta (quindi poca visibilita’), tutto ben segnalato da indicazioni e cartelli stradali, addirittura il primo giorno poco dopo l’ingresso avevamo visto uomini in divisa che in strada rilevavano la velocità delle auto; ne abbiamo visitato solo una piccola parte, a sud (la superficie del parco Kruger e’ grande quanto l’intero Galles), ma non mi sento ancora nella vera Africa, c’e’ voglia di cercare terre piu’ vere. Ritorniamo a Nelspruit, stesso ostello, stessa manager: le chiedo qualche consiglio rinfrescante sulla multa presa all’interno del parco e, come aveva fatto qualche giorno fa per il nostro visto in scadenza prima del necessario, lei mi tranquillizza e mi dice di non preoccuparmi, nessuno mi aspettera’ in frontiera al mio ritorno in Sudafrica a Dicembre, quella multa segue una legislazione interna del Kruger Park e non aveva niente a che vedere con il governo del Sudafrica. Naturalmente prendo per buona anche questa indicazione e ci prepariamo a lasciare il paese all’indomani. Alba stavolta si occupera’ di preparare la cena ed ecco che arriva anche il suo zaino smarrito qualche giorno prima; forse la sfiga si sta allontanando.

Ci siamo, e’ arrivato il momento di metterci gli zaini in spalla, la mattina seguente lascio la macchina all’aeroporto di Nelspruit e montiamo su un bus diretto a Maputo, capitale del Mozambico. E’ arrivato il momento di vivere la vera Africa. Appena arrivati in frontiera siamo subito assaliti dagli scambisti che cambiano i soldi in nero. Ne avvicino uno, contratto un po’ il tasso di cambio e con molta attenzione decido di cambiare lo stretto necessario per pagare il visto di entrata: lui conta i suoi soldi velocemente nelle sue mani e mi chiede i dollari; all’istante siamo circondati da 5 o 6 mozambicani, fanno molta confusione; chiedo a tutti di allontanarsi e resto con lo scambista scelto, lo blocco, rallento i ritmi della transazione, prendo i suoi soldi e li riconto: ovviamente c’era qualche banconota in meno, mi faccio aggiungere i metical mancanti e solo dopo aver intascato i suoi, gli consegno i miei dollari. Ma la sfiga e’ ancora presente nel nostro viaggio: scopriamo subito che i previsti 25 dollari per entrare in Mozambico si sono triplicati, recentemente il prezzo è salito a 78 verdoni grazie al turismo di massa portato dai mondiali di calcio da poco terminati, quindi i soldi che avevamo cambiato non bastano più; si puo’ pagare in dollari al cambio che dicono loro oppure cambiare ancora al mercato nero. Io opto per la seconda e per non perdere il bus che ormai aspettava solo noi, ho la felice idea di chiedere ad Alba di cercare uno scambista mentre io proseguivo con le pratiche doganali; lei che non ha mai cambiato al mercato nero si e’ fidata troppo, come se fosse in una normale banca. Morale della favola: la sfiga non ci ha ancora mollato ed alla fine ci hanno fregato una cinquantina di Euro. Bella lezione, saranno pure favorevoli i tassi di cambio in strada, ma non sai mai come ti viene; eppure è da una vita che cambio i soldi alle frontiere durante i miei viaggi. Ma l’Africa non è come gli altri posti.
Ad ogni modo ce l’abbiamo fatta, siamo entrati in Mozambico e dopo un breve tragitto eccoci a Maputo: un gran bel caos, la capitale e’ affollatissima e noi abbiamo ancora un po’ di paranoia per quanto riguarda la nostra sicurezza in Africa. Lasciamo il garage dove terminava la corsa del bus e seguendo la cartina ci avviamo a piedi verso un ostello segnalato nella guida, sempre guardandoci le spalle, a destra e a sinistra. Ma l’ostello è pieno ed alla fine troveremo una stanza in un vecchio albergo dall’arredamento antico e porte rotte al costo di 40 Euro a notte, rapporto qualità-prezzo pessimo. C’e’ un vento fortissimo fuori e la non esperienza d’Africa ci tiene un attimo sull’attenti: si sentono rumori come se fossimo in un film horror che vengono sia da fuori (causa il vento), che dall’interno dell’edificio (porte che cigolano e sbattono). Mangiamo in un ristorantino vicino e alla fine la notte passera’ tranquilla. All’Hotel-Escola Andalucia lavorano molti studenti ed a colazione abbiamo il primo incontro con cameriere pigrissime, che devono essere pregate per portarti ogni singolo piatto o pietanza. Siamo davvero al limite dell’assurdo, i messicani a confronto me li ricordo come efficientissimi, qualsiasi cosa chiediamo ci viene sempre detto che non c’è, ma alla fine con un po’ d’insistenza arrivano le portate richieste; e non stiamo parlando di grandi piatti, ma di una singola arancia oppure una fetta di pane o un tovagliolo, tra l’altro tutto incluso nel prezzo della stanza. Mi ricorda un po’ la situazione di Cuba, dove i camerieri arraffano dove possono e quindi chi lavora in cucina cerca di servire meno cibo possibile così da portarsi un po’ di mangiare a casa; è evidente che i paesi comunisti hanno anche queste cose in comune.
Facciamo il primo giro a piedi in citta’, troviamo non senza difficoltà una cassa per prelevare i contanti, spostiamo gli zaini nell’ostello che intanto si è liberato e poi di nuovo in giro tra le strade affollate di Maputo. C’e’ molto movimento, tanti venditori in strada, il 90% dei balconi hanno delle antiestetiche inferriate antifurto: il bello e’ che ce l’hanno anche gli appartamenti al decimo piano su un palazzo liscio e piatto di 20; posso immaginare che qui i ladri siano abili come l’uomo ragno.
Alla fine abbiamo trascorso 3 notti nella capitale mozambicana, passeggiando per le vie, la prima mangiata di pesce in un ristorante famoso in spiaggia a Costa do Sol, il primo viaggio in chapa (che sono gli affollatissimi minibus locali), le foto a qualche monumento, la stazione ferroviaria, i mercati, i palazzi del periodo coloniale, la visita ai musei d’arte; detto così sembra tutto molto interessante, ma se lo scopo di un viaggio da queste parti è per apprezzarne l’architettura o l’arte, non si resta molto soddisfatti: luoghi come il Museo d’Arte Nazionale si visitano in 10 minuti, il tutto si limita ad un paio di stanze con un po’ di quadri sparsi qua e là di artisti mozambicani, tra l’altro la maggior parte in vendita; e i monumenti o palazzi di spicco corrispondono ad un qualunque edificio europeo contemporaneo in quanto ad architettura. Quello che invece colpisce molto è l’arte povera e ciò che si riesce a creare con poco o niente. E per fortuna che Maputo è una delle capitali più attrattive d’Africa!!! Non oso immaginare le altre!!! Eppure ogni cosa ha il suo fascino: qui si è travolti dal caos più totale che regna in questa città, gente cha va e viene, clacson che suonano, i ragazzi dei chapa alla ricerca di clienti gridando in strada dal finestrino del bus, per le strade si vende di tutto. Gli edifici della città testimoniano un passato non troppo felice, pare che la guerra civile sia finita una settimana fa e non a metà degli anni ’90 come c’è scritto nei libri di storia.

Le serate a Maputo siamo usciti giusto per cenare nei ristorantini sulla via principale vicino al nostro alloggio e poi a nanna; non siamo molto attratti ad andarcene in giro di notte ed abbiamo ancora quel poco di fobia che però pian piano stiamo allontanando. E poi, meglio non perdere il ritmo, visto che la partenza verso la spiaggia di Tofo è prevista per le 5 del mattino.
E’ ancora buio ed una specie di furgoncino tutto scassato ci viene a prendere dall’ostello per accompagnarci alla stazione dei bus. Arrivati qui ci trasferiamo su un minibus che pian piano si inizia a riempire di persone e merci. Quando il mezzo è strapieno all’inverosimile finalmente si parte in direzione nord-est. Durante il viaggio scambieremo due chiacchere con uno studente universitario simpatico che stranamente conosce l’inglese: si parla un po’ della povertà e della situazione in generale del suo paese. Pare che l’aspirazione più grande di un giovane mozambicano sia quella di trovare lavoro presso un’Organizzazione Non Governativa, gestita da stranieri e che quindi offre paghe più alte rispetto ad una qualsiasi azienda nazionale. Lui mi mostra il suo telefonino: fin dal primo giorno a Maputo ero rimasto sorpreso dalla diffusione dei cellulari; la povertà è dilagante, ma i telefonini sono diffusissimi e i giovani vendono ricariche ad ogni angolo della strada, segno che la globalizzazione è arrivata anche qui.
Dopo un viaggio stancante ed un po’ pericoloso (vista la velocità e pazzia con cui guidano gli autisti dei chapa) eccoci arrivare a Tofo: troveremo alloggio in una semplice capanna con letto matrimoniale molto carina e rumore delle onde che ci fa compagnia mentre dormiamo. Tofo è un posticino tranquillo, poche costruzioni, qualche alloggio per turisti, alcuni venditori di beni di prima necessità sulla via principale ed uno spiaggione lungo chilometri praticamente deserto;  mi ricorda un po’ le spiagge del nord-est brasiliano. Però qui siamo sull’Oceano Indiano, è un po’ agitato, ma comunque piacevole per fare il bagno; resteremo a Tofo per 3 giorni, relax e dolce far niente.
Da questo punto del viaggio in poi decido di iniziare con la pillola della malaria, Alba ha già cominciato un paio di settimane fa dall’Italia; si intravedono le prime zanzare e quindi si va a dormire coperti dalla zanzariera. C’è sempre un grosso dubbio sul fatto di fare o no la profilassi antimalarica quando si visitano queste zone, alcuni decidono di vaccinarsi, altri rischiano un po’ di più pur di non subirne gli effetti collaterali e sono pronti a curarsi nel caso di malattia.
A Tofo ci sono molti giovani sudafricani bianchi in vacanza, ne conoscerò uno di Durban, ci chiacchiero un po’, voglio capire meglio come funziona la storia del razzismo e se l’apartheid in Sudafrica sia finita davvero oppure no; lui mi spiega che le razze sono molto distanti culturalmente e che forse l’apartheid finita agli inizi degli anni ’90 non era così sbagliata: la sensazione che ho avuto sin dal primo giorno sulla mancanza d’integrazione tra le diverse razze inizia a prendere consistenza.

Tra gli altri conosceremo 2 volontari italiani che avevano appena terminato un progetto di 6 mesi presso una scuola del Mozambico e si stavano godendo qualche giorno al mare prima di rientrare in Italia: ci racconteranno storie raccapriccianti non tanto per le condizioni di miseria da loro viste e vissute, ma soprattutto ci spiegheranno di come la maggior parte delle organizzazioni di volontariato siano poco o quasi per nulla efficienti quando si tratta di mettersi all’opera negli aiuti alle popolazioni più disagiate. Loro stessi erano stati mandati in Mozambico da un’organizzazione internazionale con sede in Danimarca, la quale gli ha fatto dapprima raccogliere soldi nelle strade di Copenaghen per 3 o 4 mesi (5000 Euro, somma raccolta a scopo benefico) e successivamente, dopo aver pagato il loro volo aereo con parte di quei fondi, l’organizzazione ha spedito i nostri amici in Mozambico sostenendo che la differenza restante sarebbe servita per il loro vitto e alloggio nei 6 mesi di permanenza; in sostanza quei fondi sono spariti, visto che Marina e Daniele hanno dormito in sistemazioni mooolto basiche e vissuto con la comunità del posto (mangiando cibo locale da queste parti si spende circa 1 Euro al giorno). Addirittura pare che il capo di questa grande ONG sia latitante nell’America Latina… E per una volta il furbo di turno non è Italiano, bensì un Danese… E VAAAAAAIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!
Molte volte le organizzazioni umanitarie hanno dei costi notevoli per essere mantenute e quindi spesso va a finire che i soldi dati in beneficienza vengano spesi più per pagare il personale che ci lavora dentro, le strutture, gli ingegneri e gli operai impiegati nelle opere da realizzare, che non per un aiuto concreto alla popolazione stessa. Dietro la beneficienza c’è una vera e propria scienza che studia il modo migliore per far incrementare le donazioni; e anche queste ricerche vengono pagate naturalmente con i fondi delle donazioni stesse. Il principio intorno al quale ruota il tutto si basa sul fatto che il motivo principale per cui noi occidentali doniamo è quello di ripulirci la coscienza, ci sentiamo fortunati a nascere in un paese ricco a differenza dei più sfortunati nati nella miseria; e il senso di colpa viene incrementato ancor di più mostrandoci in continuazione immagini di bambini che muoiono di fame, catastrofi naturali eccetera eccetera.
Eppure questa scienza mi andrebbe ancora bene se solo i soldi finissero nel posto giusto. Ma molto spesso succedono storie del tipo che un governo decida per esempio di stanziare tot soldi per la costruzione di 50 latrine in tale villaggio dell’Africa (con i soldi dei contribuenti ovviamente); allora si fa una gara d’appalto alla quale partecipano le varie organizzazioni non governative (i preventivi e gli ingegneri vengono pagati dai fondi raccolti con la beneficienza ovviamente); la ONG di turno che vince l’appalto va in Africa a costruire le 50 latrine (con stipendi da capogiro pagati sempre dalla cassa creata grazie ai vari donatori tra cui il governo stesso, ovviamente); in molti casi le latrine non vengono terminate perché i fondi finiscono prima del tempo (ovviamente, proprio come succede per le opere pubbliche in Italia); nei pochi casi in cui le 50 latrine vengono terminate probabilmente ci si accorge che il villaggio è talmente piccolo che ne sarebbero bastate 20 di latrine (e quindi ennesimo spreco di risorse, ovviamente). Tutto funziona un po’ così, è un circolo vizioso che comunque fa girare l’economia, ma lascia poco o niente per i poveretti laggiù e prende in giro chi pensa di aver fatto un’opera buona verso il prossimo.
Fa un po’ ridere il solo pensiero che un volontario serio impegnato in una zona poverissima del mondo debba sprecare del tempo prezioso per fare la foto ai vari bambini, così da poterla spedire allo stupido di turno che comodamente seduto sul divano di casa è convinto di aver adottato un bambino a distanza. Certo che siamo proprio tonti noi occidentali! Secondo quale criterio si sceglie di adottare un bimbo anziché un altro? E quanti di quei bambini restano in una missione pochi mesi e poi per qualche motivo scappano o vengono spostati dagli stessi genitori in un altro villaggio? Immaginate il volontario di turno che cerca di ritrovare quel bambino scappato pur di continuare a fotografarlo così da tener contento il donatore il quale continuerà ad inviare l’assegno mensile necessario al fabbisogno di quella comunità o scuola che sia. Bisogna venire qui e vedere con i propri occhi per rendersene conto. I criteri ed i parametri di giudizio, cosa sia giusto o sbagliato, sono concetti molto diversi in Occidente e in Africa. E se beneficienza si vuole fare meglio prendere un aereo e trascorrere un mesetto da queste parti per dare un piccolo aiuto concreto con la propria presenza e perché no, anche disponibilità economica, piuttosto che donare Euro alla ceca che probabilmente si perderanno tra un passaggio e l’altro (e qui arriveranno pochi spiccioli). La beneficienza è una cosa seria e delicata; e i bambini è meglio adottarli per davvero, anziché a distanza, sempre che sia giusto adottarli (ma questa è un argomento a sé).
Tra un bagno e le prime abbronzature, tra una discussione e qualche spuntino di pesce, passeranno i 3 giorni a Tofo in compagnia dei nostri amici Italiani e due ragazzi dall’Estonia e le Canarie pronti a dare loro il cambio come volontari nei prossimi 6 mesi, ma già notevolmente abbattuti dall’esperienze di Daniele e Marina. Quest’ultima ci racconterà tra l’altro di come il ruolo di maestra d’inglese per il quale era stata mandata in Mozambico sia stato totalmente inadeguato visto che la maggior parte dei suoi alunni aveva bisogno di imparare prima il portoghese (che è la lingua ufficiale del Mozambico). Inoltre Marina ci ha raccontato di giornate intere passate a ripulire i piedi dei bambini infetti da uno strano virus che si forma sotto pelle (in quanto camminavano sempre scalzi) e di come sia stato molto più utile investire i pochi risparmi raccolti tra i suoi familiari per comprare scarpe e fare lezioni sull’igiene anziché insegnare l’inglese.

Un pomeriggio andremo con un chapa alla vicina cittadina di Inhambane, tanto per cambiare area, fare un giro al mercato e prendere informazioni per la partenza verso la nostra prossima destinazione. Niente di speciale: una chiesa, 2 moschee, una piccola stazione ferrovia, i ragazzi sul lungomare con gli stereo della macchina a tutto volume ed i telefonini in mano (come già visto a Maputo). Il supermercato in cui faremo la spesa è gestito da cinesi: sono arrivati anche qui ed insieme agli Indiani gestiscono i grossi business del Mozambico; è incredibile come i cinesi riescano a trarre profitto anche da un paese così povero.
A Tofo abbiamo trascorso un paio di serate in un bar non lontano dalla nostra capanna, il cui proprietario era stato un certo Dino, che a quanto pare è il Bob Marley del Mozambico, ma che è morto l’anno scorso credo. Saranno le nostre prime serate fuori. Al Dino’s Beach Bar ci concediamo anche una pizza e balliamo un po’ nella mischia con i sudafricani (quasi tutti bianchi) venuti per le vacanze scolastiche; si rivede anche qui la scena vista e rivista negli anni passati in altri angoli del mondo: l’uomo occidentale bianco e adulto insieme alla ragazzina nera locale e giovane, anche se finora in percentuale molto minore rispetto a ciò che ho visto in passato in altri paesi poveri (mica sono stupidi, qui le puttane saranno pure a buon mercato, ma l’AIDS non guarda in faccia a nessuno); il tutto si svolge sotto l’occhio vigile del mega poster del grande Dino.

Si riparte, sveglia al mattino presto che ormai è diventata un’abitudine, andiamo sulla via principale ad aspettare un chapa, saliamo a bordo e quando è strapieno si parte. Un piccolo tragitto fino ad Inhambane, dov’eravamo stati in visita il pomeriggio precedente. Da qui prenderemo un traghetto per la cittadina di Maxixe, con la speranza di trovare una coincidenza verso il nord. Cerchiamo qualche informazione utile, ormai abbiamo capito che non ci sono cartelli, né indicazioni precise; alcuni ragazzi si accostano a noi con la pretesa di aiutarci, io ci metto poco a liquidarli non appena diventano troppo insistenti o maleducati. Aspettiamo un po’ davanti alla stazione di benzina, ci hanno detto che qui tra non molto arriva un bus gran turismo proveniente da Maputo e diretto a nord. E in effetti dopo un po’ arriva davvero, finalmente un autobus vero, la gente si ammassa, chi prova ad entrare, chi prova a vendere snack, lattine, frutta e di tutto di più, è il solito caos più totale; alla fine niente, non riusciamo a trovare un posto libero a bordo, ci tocca andare a qualche isolato più in là dove a quanto pare stazionano i minibus che vanno a nord. Arrivati in zona parte il solito assalto verso i 2 unici bianchi (ma ormai non lo racconto neanche più, sta diventando cosa normale), troviamo il minibus che ci interessa e quando si riempie si va.
Sarà un altro bel viaggio traumatico, tutti ammassati come le sardine, è quasi impossibile muovere un singolo arto durante il tragitto, quindi è importantissimo trovare la giusta posizione nel momento in cui si prende posto, in modo da mantenerla per tutto il tempo. Questa volta a bordo abbiamo anche 2 tipi che si ubriacano bevendo tranquillamente alcool di bassa qualità durante il viaggio; e siccome il minibus balla molto a causa delle condizioni della strada nazionale non propriamente asfaltata, ecco che il vino ogni tanto salta dal bicchiere verso i passeggeri vicini, qualcuno protesta, ma la maggior parte della gente resta in silenzio, la sopportazione e l’abbattimento di questo popolo sono infiniti. Accanto ai 2 simpatici alcolizzati c’è una mamma con il suo neonato: la signora in questione aveva il piccolo aggrappato dietro la schiena e mentre prendeva posto lo ha schiacciato completamente senza preoccuparsi più di tanto; questi bambini prendono certe botte incredibili, quando il minibus si ferma e la signora cerca di scendere, ancora una volta il piccolo urta contro il tetto del mezzo la sua testolina già piena di lividi. Sembra un caos più totale, ma la scena più bella avviene quando ci fermiamo per la pausa bagno e la mamma in questione chiede ai 2 ubriachi di mantenerle il bebè: io ero rimasto sul bus e i 2 davanti a me che provavano a calmare il pianto del piccolo muovendolo su e giù e dicendo più volte la parola “mamma”; ma dico, con tutte le persone che c’erano a bordo, proprio a quei 2 doveva lasciare il bambino? La sensazione è che la vita da queste parti abbia un valore inferiore rispetto a come siamo abituati a considerarla noi occidentali, si fanno tante azioni senza pensarci troppo. E naturalmente quando prima ho parlato di pausa bagno, intendevo dire una fermata nel mezzo del niente (chiamarla campagna sarebbe un complimento), gli uomini vanno da un lato della strada, le donne dall’altro (se sono fortunate dietro un albero) e poi si riparte. L’unica cosa divertente di questi tragitti è che i minibus in questione ogni volta che passano tra i villaggi si fermano e vengono assaliti da venditori di ogni cosa che si fanno concorrenza spietata tra di loro, mettendoci i prodotti fin all’interno del veicolo attraverso il finestrino.

Tra un’avventura e l’altra eccoci arrivati a Vilankulo, cittadina costiera e punto di partenza per l’arcipelago Bazaruto. Solito giretto per cercare l’alloggio che più fa per noi e scegliamo una casetta di legno economica che si affaccia sulla spiaggia e facente parte di una struttura per viaggiatori zaino in spalla, tipo ostello. E’ domenica, la popolazione locale pare sia numerosa e in molti si riversano in spiaggia, musica che suona dalle poche macchine presenti e odore di carne arrosto che proviene dai barbecue; qualche ora prima mentre entravamo in città con il minibus avevamo anche notato tanta gente al campo di calcio, è uno sport amatissimo da queste parti. Una strada di terra costeggia la spiaggia centrale non così speciale, noi avevamo preferito quella di Tofo; la percorriamo in lungo e in largo e, come già successo a Maputo, qualcuno pare infastidito se noi lo fotografiamo. La cosa bella è l’incredibile differenza tra alta e bassa marea: quando quest’ultima è al minimo si possono fare camminate interminabili e la gente si riversa a raccogliere molluschi e quant’altro, oltre alle barche che emergono completamente dall’oceano sembrando dei veri e propri relitti (erano cose che avevo già notato in spiaggia a Maputo).
Anche a Vilankulo resteremo per 3 notti, le ultime 2 ci sposteremo in una capanna più interna per via delle zanzare; e che notti!!! I pochi fortunati ad avere il generatore di corrente hanno qualche lampadina accesa, per il resto di sera è tutto buio, avere la torcia è un aiuto in più per camminare in strada e anche al tavolo nel ristorantino locale è meglio tenerla accesa per avere una migliore idea di cosa si sta mangiando.
Il terzo giorno, dopo varie trattative, acquistiamo un giro in barca verso l’arcipelago di Bazaruto e precisamente alle isole di Magaruque e Benguera. In barca con noi ci sono 2 ragazze canadesi. La barca scelta non è delle più sicure, ma d’altronde trovare il giusto operatore per organizzare l’escursione è un po’ come giocare a mosca cieca. Eravamo partiti da poco che già c’erano dei delfini accanto alla nostra barca. E alla fine le isole risulteranno molto belle, sabbia bianca ed acqua cristallina: a Magaruque farò un po’ di snorkeling e ci fermiamo per un pranzettino a base di pesce; a Benguera breve sosta pomeridiana che purtroppo non sarà sufficiente visto la grandezza dell’isola: una distesa di sabbia interminabile e isolamento completo, SPETTACOLO!!! Ci avrei trascorso volentieri la notte. Piccolo aneddoto: durante lo snorkeling i 2 barcaioli che ci accompagnavano hanno avuto la felice idea di frugare nella borsa delle 2 ragazze canadesi e di rubare qualche contante; solita tecnica, ne prendono una parte e lasciano il resto così da non insospettire le vittime, a me era già successo l’anno scorso a Cuba. Ma le 2 non si fanno fregare e con qualche gioco psicologico e un tantino di ricatto riescono ad avere i loro meticals indietro con tanto di scuse da parte dei giovani barcaioli, che faranno la figura da stupidi ed ingenui, oltre a pregarle di non dire niente al loro capo. In Africa si vive e si pensa così, alla giornata, e si costruisce poco o niente; quindi meglio guadagnare tanto e rischiare di non lavorare più, anziché mantenere nel tempo un lavoro.
Al ritorno sulla terra ferma, ci dirigiamo subito verso il mercato locale, punto di partenza dei minibus, dobbiamo comprare i biglietti per la partenza del giorno dopo. Prenotiamo 2 posti, il tipo che vende i biglietti insiste sul fatto che dobbiamo pagare un piccolo extra per lo zaino, come già successo in altre circostanze, io lotto un po’ contro questa pratica che si usa solo ed esclusivamente nei confronti dei turisti bianchi, alla fine vince lui, parlo e parlo ma sembra di parlare con un muro.
Facciamo finta di credere che si paga anche la “PASTA” (bagaglio), ma l’amico tenta pure di darmi meno resto, io gli faccio capire che non sono proprio deficiente e lui si giustificherà con un semplice “Distracao”: e allora crediamo anche a questa distrazione, ci facciamo una risata e prendo il mio resto, tanto ormai abbiamo capito che ci provano sempre e comunque. All’indomani sarà di nuovo un’alzataccia, alle 3 di mattina, sta diventando un incubo, ormai di sera difficilmente riusciamo a resistere in piedi oltre le 9.
Chiediamo alla guardia del nostro alloggio di scortarci fino alla fermata del bus in quanto è buio e il tragitto tra le capanne e baracche non è piacevolissimo. Arriviamo al bus poco prima delle 4, fortunatamente i biglietti erano stati venduti tutti il pomeriggio precedente e quindi saremmo anche pronti per partire se non fosse per l’ennesima inculata: sono stati venduti 4 biglietti per ogni fila del minibus, tranne che per l’ultima dove hanno deciso di ammassare gli unici 5 bianchi (inclusi noi 2) tutti insieme, tanto i turisti non hanno il coraggio di lamentarsi; proprio bastardi sti mozambicani, questa volta non me la faccio scendere e combino un casino: bloccheremo il bus per mezz’ora ed occupiamo un posto extra che ci spettava di diritto, ma alla fine non c’è stato niente da fare e si parte lo stesso, hanno vinto di nuovo loro, hanno la testa durissima e non si poteva lasciare una persona a caso a terra per darci un posto in più; e noi rifiutiamo il rimborso che ci viene offerto, anche perché il prossimo mezzo parte il giorno seguente e non abbiamo molta voglia di svegliarci di nuovo in piena notte fonda.
Sono le 4 e mezza del mattino, finalmente si parte, si prevede un altro viaggio della speranza, ogni tragitto in Mozambico sembra il peggiore di tutti: come al solito il minibus è mezzo scassato e talmente pieno di persone e cose che si fa fatica a respirare. La solita ed unica strada nazionale che copre il paese da sud a nord, in molti tratti è sterrata, quindi entra tantissima terra dai finestrini; e il bello è che quest’ultimi non si possono chiudere in quanto l’aria condizionata è ancora un’utopia da queste parti e la puzza di sudore e sporco all’interno del veicolo, uniti al caldo, sono talmente pesanti che è meglio tenere aperto e far entrare terra; e quando decidiamo di chiudere per un attimo solo il finestrino dal nostro lato, ci viene detto di riaprire perché la terra che entra da una parte deve pur uscire dall’altra, altrimenti resta all’interno del minibus. Ma che bella teoria!!! Insomma per l’ennesima volta ci combineremo a merda, ci vorranno giorni per ripulirci, in queste condizioni una semplice doccia non basta. Durante il viaggio ci sarà la solita fermata bagno in mezzo alla strada ed il passaggio nei vari villaggi sarà sempre più colorito dai venditori ambulanti assatanati in cerca d’affari, da persone in cerca di un posto a sedere e dai passeggeri che, nonostante non ci sia posto neanche per respirare, comprano di tutto lungo il cammino; incontreremo veramente poche macchine in strada, si contano sulle dita delle mani, e intorno alle 11 di mattina arriviamo all’affollato incrocio di Inchope.
L’idea è quella di prendere immediatamente un altro mezzo che va ancora più a nord, verso Quelimane, ma qualcuno in strada ci dice che è troppo tardi e bisogna riprovare il giorno seguente nelle prime ore del mattino. Attendiamo ancora un po’ dando credito a chi invece ci aveva consigliato di aspettare, ma niente da fare, non passa niente. Decidiamo quindi di attraversare la strada e cercare un mezzo che ci porti a ovest verso Chimoio, cittadina vicina dove è più facile trovare un posto per dormire, così all’indomani saremmo tornati allo stesso incrocio di mattina presto con la speranza di salire su un veicolo diretto a nord; ma un signore seduto davanti alla porta di casa ci consiglia di andare a est, verso Beira, è una città più grande, ci dice, e da lì partono i bus gran turismo, quelli veri e comodi, che non si fermano agli incroci, e vanno anche verso nord. Il tipo in questione non aveva la faccia proprio affidabile, ma la tentazione di viaggiare comodi è forte, quindi decidiamo di seguire il suo consiglio, riattraversiamo la strada in direzione opposta e cerchiamo un chapa che ci porti a Beira; e pensare che il minibus nel quale avevamo trascorso la mattinata era proprio diretto a Beira, se avessimo deciso prima ci saremmo risparmiati inutili attese sotto il sole.
Con il solito modo arrogante vengo approcciato dall’autista del chapa di turno parcheggiato, il mezzo è ancora vuoto ed io ho imparato il sistema: gli dico che viaggeremo con lui, ma che lo avrei pagato dopo e tantomeno non salgo subito a bordo, così da non aspettare ore inutili finché si riempia e garantirmi la speranza che qualche suo concorrente parta prima. Mentre aspettiamo seduti su 2 sedie in una specie di balcone mezzo demolito che qualcuno prova a chiamare ristorante, arriva un bus, di quelli grandi, lunghi, non proprio gran turismo, ma comunque qualcosa che assomiglia ad un bus vero, qualcosa paragonabile ad un vecchio autobus ancora in uso nei paesi più poveri dell’Europa dell’est, qualcosa che qui chiamano machibombo. Non credo ai miei occhi, allora esistono!!! Lo fermo, parlo con il conducente in uniforme, c’è anche un controllore, mi dicono che sono diretti a Beira ed il biglietto ha lo stesso prezzo del chapa. Sembra un sogno!!! Ma qui inizia una bella scenetta: nasce un litigio acceso tra gli uomini in divisa e i 2 ragazzi che gestivano il chapa ed ai quali avevamo detto di viaggiare con loro. Quest’ultimi sostengono che noi siamo passeggeri loro e che il bus non può caricarci lì davanti; dall’altro canto i 2 in uniforme spiegano con molta tranquillità che si tratta di un autobus pubblico e che quindi può prendere passeggeri in qualsiasi posto. La discussione si fa talmente accesa che i ragazzi si impongono con forza davanti all’entrata del bus e ci impediscono materialmente di salire a bordo. Non basta il viaggio asfissiante per arrivare fino qui, adesso ci si mettono pure questi 2 bastardi che vogliono impormi il loro abuso!!! Sono stanco e incazzato a tal punto che prendo di forza il primo dei 2 e lo scaravento da un lato, prendo il secondo e lo scaravento dall’altro, prendo Alba e la spingo di prepotenza all’interno del bus; a quel punto mi giro velocemente verso i 2 con l’atteggiamento pronto di chi si aspetta una qualche reazione aggressiva e loro cosa fanno? Ridono e se ne vanno via; io salgo sul bus e finalmente si parte. Incomincio a realizzare che la nostra paura nel relazionarci con le situazioni di strada in Africa probabilmente è infondata o almeno quasi sempre è così; questo non è il primo episodio in cui ho pensato che forse molti mozambicani non hanno le palle, ho la vaga sensazione di quel tutto fumo e niente arrosto che forse è un’altra delle tante conseguenze causate da un lungo dominio straniero nel passato.

Ad ogni modo siamo in viaggio su un autobus grande e scassato, ma per carità, molto comodo rispetto agli standard a cui eravamo abituati, “solo” 5 sedili per ogni fila e tanti posti vuoti. In circa 2 ore arriviamo a Beira, ci facciamo lasciare davanti al garage della compagnia TCO che gestisce i bus gran turismo e chiediamo informazioni per raggiungere quanto prima Nampula. Ci viene detto che il prossimo bus ci sarà dopodomani, ma c’è solo un posto libero, quindi dobbiamo aspettare 5 giorni. 5 giorni!!! Gioco la carta dell’attesa, aspettiamo lì seduti per una buona mezz’ora, io ogni tanto chiedo all’impiegata di trovare una soluzione alternativa ed alla fine un’altra magia si avvera: salta fuori un altro posto e compriamo 2 biglietti per la partenza più vicina!!! Il prezzo non sarà dei più economici, ma chi se ne frega: finalmente un bus comodo sul quale viaggiare. Ora non ci resta che cercare un albergo dove trascorrere le prossime 2 notti; e lo troviamo nel bel mezzo del centro città. La partenza naturalmente è prevista la mattina presto, ma almeno la prima notte possiamo dormire tranquilli. Tranquilli? Lo avremmo fatto volentieri se solo non ci fosse una pseudo discoteca che in piena notte sparava musica a tutto volume proprio sotto la nostra finestra!!!
Trascorreremo i 2 giorni in giro per la città senza troppe pretese ed approfitteremo dell’internet point per comunicare un attimino con il mondo esterno. Beira è la seconda città del Mozambico, sembra molto simile a Maputo, i palazzi diroccati con i balconi coperti da inferriate antifurto, una moderna stazione dei treni semivuota, il mercato strettissimo con le bancarelle che vendono di tutto, la spiaggia vicino la città. Non ci facciamo mancare il giro con un chapa locale. L’unica differenza è che si inizia a vedere maggiormente la presenza dei musulmani, che però sono moderati e si integrano perfettamente con i cristiani. E dopo una lunga ricerca troverò anche una lavanderia, sarà la prima del viaggio, la mia roba ormai è sporca a tal punto che anche la lavatrice si rifiuterebbe a lavarla. Ma la scena che inizio a notare sempre più spesso sono queste file lunghissime di persone fuori dai negozi di telefonini: pare sia da poco diventata obbligatoria la registrazione di un documento da associare alla scheda sim; e i possessori di telefonini sono davvero tanti.

Si riparte, questa volta comodi su un bel bus gran turismo, inclusi nel prezzo anche snack, acqua, pranzo a base di pollo e il bagno a bordo, la differenza si sente e come, riusciamo anche ad addormentarci diverse volte; se penso ai viaggi fatti qualche giorno prima!!! Stranamente ci sono anche dei posti vuoti, nonostante la signorina qualche giorno prima ci aveva fatto credere che era tutto pieno; chissà perché, c’è sempre una tendenza a rendere il tutto ancora più complicato di quanto già non lo sia, hanno un sistema ancora più complesso della nostra cara burocrazia italiana.
Per la prima volta possiamo ammirare il panorama comodamente dal finestrino. Oltrepassato il fiume Zambezi sembra cambiare tutto: si ha l’impressione che ci sia ancora più povertà, ma le capanne sono più carine e la gente diversa, forse più dignitosa; anche il paesaggio sembra differente. Durante il viaggio faremo una sosta brevissima nella città di Quelimane e in serata arriviamo a Nampula.

E’ stata una giornata di viaggio intera, ma siamo contenti di aver percorso un tratto lungo tutto d’un tiro, e soprattutto con un autobus comodo. Che dire di Nampula: è semplicemente un’altra città, niente di speciale, l’hotel in cui capitiamo tanto per cambiare è orrendo, ma la scelta non è stata molto ampia e ci dobbiamo accontentare, se si vuole far esperienza della vera Africa bisognerà pure adattarsi all’acqua che non funziona o a farsi la doccia con l’aiuto dei secchi e quant’altro. In compenso troviamo nello Sporting Club un posticino niente male per mangiare; e per fortuna, visto che la scelta si limitava ai soliti 2 o 3 fast food già visti e rivisti. La sera non c’è molto da fare, quindi a nanna presto e sveglia altrettanto. Passiamo velocemente dalla stazione dei treni per avere qualche informazione riguardo la nostra partenza per il Malawi nei prossimi giorni ed eccoci nuovamente ad un capolinea dei chapa per il nostro prossimo tragitto che ci porterà verso l’isola di Mozambico. Solito caos, i vari autisti in cerca di clienti ci chiamano gridando, i nostri 2 zaini non sono proprio invisibili e sembra che noi interessiamo e veniamo notati proprio da tutti; per un attimo siamo circondati da una decina di ragazzi in cerca di facili opportunità, ma ancora una volta mi basterà un semplice sguardo per far loro capire che se mi danno un solo problema io glie ne restituisco due; si calmeranno tutti all’istante e faccio pure amicizia, ormai mi sono quasi convinto che tutti fanno tanto casino, ma alla fine nessuno ha le palle per agire; è il loro modo di fare arrogante unito all’estrema povertà che ti mette in guardia, ma in fin dei conti non mi sembra ci siano pericoli peggiori di altri posti visitati in passato.
Non credevo che potesse accadere di viaggiare ancora più stretti di quanto non abbiamo fatto nei giorni scorsi, ma ripeto, ogni tragitto in Mozambico sembra il peggiore di tutti: la prima fila del chapa dove eravamo seduti ha un poco di spazio in più davanti; noi la scegliamo pensando di stare più larghi, invece hanno appoggiato un cuscino di fronte e fatto sedere altre 4 persone: ancora più ammassati del solito; per fortuna che condivideremo lo spazio limitatissimo con 2 simpatiche ragazze universitarie di ritorno a casa. Roba da non credere: in un veicolo da 12 posti si viaggiava in 19 (più neonati in braccio naturalmente, che non contano), oltre a tutta la mercanzia posizionata in ogni buco disponibile. Meno male che il tragitto durerà solo 3 ore.

L’isola di Mozambico si raggiunge tramite un vecchio ponte a senso alterno, una fila interminabile di donne e bambini si riversano verso l’Oceano per raccogliere i molluschi, approfittando della bassa marea. E’ un vero e proprio SPETTACOLO. Il posto ci piace fin da subito e finalmente alloggeremo in una bella casa coloniale di proprietà di un architetto milanese, tra l’altro più economica di altri alberghi decadenti utilizzati in passato. Bene, finalmente si dorme tranquilli, pensiamo. Macché!!! In Mozambico più si va verso nord, più aumenta l’influenza araba e proprio di fronte al nostro alloggio ci è capitata una bella moschea… bella… peccato che ogni mattina alle 4 l’imam inizia a predicare con l’altoparlante a tutto volume, che si aggiunge ai bambini che canticchiano mentre lavorano prima ancora del sorgere del sole!!! Ormai resterà un sogno quello di dormire qualche ora in più, ci rassegniamo all’idea di adattarci ai loro ritmi e orari.
Ma l’isola di Mozambico è un paradiso, un piccolo gioiello nel bel mezzo del niente africano, il posto più bello che ho visto dall’inizio del viaggio: vecchia capitale della colonia portoghese conserva tutti i palazzi dell’epoca, anche se per la maggior parte abbandonati; finalmente anche l’architettura da vedere ha qualcosa d’interessante, specialmente la fortezza posta alla punta nord. L’isola è sovrappopolata, un mix di etnie e religioni e la gente del posto sembra leggermente più abituata ai turisti, anche se non ne incontreremo tanti. I bambini chiedono di essere fotografati solo per il gusto di rivedere il loro ritratto nella fotocamera; sono molto disponibili, si divertono, sono sempre sorridenti e cercano il tuo saluto, giocano nei palazzi abbandonati e si inventano di tutto riciclando materiali vecchi: in Africa è frequente vedere i maschi che fanno la corsa con un bastone infilato in un vecchio pneumatico oppure giocare con delle macchinine assurde costruite con il fil di ferro. Ma a guardarli, sembrano tutti felicissimi. Alcune donne e bambini si coprono il viso con una speciale argilla ed è’ molto piacevole il semplice osservare o camminare per le vie coloniali, infiltrarsi nei palazzi abbandonati, vedere le vecchie insegne dei bar di una volta, la sede dell’onnipresente partito comunista Frelimo oppure quella degli oppositori un po’ meno evidenti Renamo, le donne che raccolgono i molluschi e i ragazzi che si fanno la doccia prendendo l’acqua da un vecchio pozzo situato all’interno di una ex isola-bastione, raggiungibile solo con la bassa marea.
Finalmente Alba riesce a trovare anche un ufficio postale che venda francobolli, così può imbucare le sue cartoline, finora tutte le poste ne erano state sprovviste. Peccato però che i francobolli disponibili sono solo da 5 metical e per inviare una cartolina in Europa ce ne vogliono 92. Bastano 6 francobolli per occupare l’intero retro della cartolina, il che arriviamo a soli 30 metical e non abbiamo un millimetro libero neanche per scrivere l’indirizzo. E’ incredibile, in Mozambico non c’è proprio niente. La signora dell’ufficio ci consiglia di comprare una busta grande quanto un foglio A4, inserire la cartolina all’interno e quindi riempirla con tutti i francobolli necessari. Alla fine Alba neanche questa volta riuscirà a spedire le sue cartoline.
E’ curioso notare come in un palazzo sia cresciuto un albero completamente a cavallo del muro esterno e molti edifici siano senza finestre, come il tribunale per esempio; neanche l’ospedale ancora in uso ce l’ha e sulle sue mura sono disegnati i simboli della lotta all’AIDS, un problema enorme da queste parti. Sull’isola di Mozambico mangeremo anche una buona pizza, ma soprattutto ci divoreremo la migliore aragosta che io probabilmente abbia mai assaggiato in tutta la mia vita, servita con un bel contorno abbondante su un terrazzino arredato niente male. SPETTACOLO!!!
Nel nostro alloggio abbiamo conosciuto una coppia di francesi che viaggiano in Africa tutti gli anni, un po’ per vacanza e un po’ per fare business: cercano e acquistano materiale raro nei villaggi più sperduti ed importano il tutto in Europa per rivenderlo. Un giorno ci inviteranno per un giro in dhow (barca a vela tipica costruita con mezzi di fortuna) con relativi skipper locali: andremo in spiaggia a Chocas, bellissima e bagnasciuga pieno zeppo di granchi in movimento. E qui vedremo finalmente i primi baobab spogli così come si vedono nelle più classiche fotografie d’Africa.

In partenza dall’isola approfittiamo della disponibilità dei nostri amici francesi in macchina per un passaggio verso il vicino incrocio di Namialo; loro continueranno a sud verso Nampula, noi invece vogliamo andare ancora più a nord verso l’arcipelago delle Quirimbas. Non ricordo di essere mai stato così felice per il solo motivo di aver trovato un passaggio in auto: i viaggi in chapa ci hanno spezzati e immagino ancora ci spezzeranno; per ogni destinazione raggiunta abbiamo bisogno di un giorno intero solo per riposare e riprenderci dallo stress del viaggio. In strada notiamo verso l’orizzonte un’enorme cattedrale nel bel mezzo del niente, cosa più unica che rara; incuriositi ci avviciniamo, sembra davvero una cattedrale nel deserto, costruzione imponente e di fronte la scuola, qualche edificio e poi il solito niente che caratterizza l’Africa. Conosceremo un’anziana suora bergamasca che vive qui da più di 40 anni e porta avanti progetti di volontariato collegati con la Chiesa. E’ piacevole parlare con lei, ci spiegherà come era difficile vivere durante il colonialismo o ancora peggio quando c’è stata la lunga guerra civile; e invece di questi tempi in Mozambico si sta decisamente meglio, ci dice. E per fortuna, penso dentro di me; non oso immaginare come si possa vivere peggio di così.
Arriviamo a Namialo che sono le 8 e mezza del mattino, è già un po’ tardi visto il lungo tragitto che ci attende, salutiamo i nostri amici francesi e cerchiamo di capire quale sia il modo per arrivare alla città di Pemba, nostra prossima destinazione. In Africa gli incroci tra 2 strade importanti sono sempre affollati di gente, quando passa un bus o una macchina (molto raramente) i ragazzi escono correndo dalle capanne trasportando la mercanzia che a volte si limita anche ad una sola bottiglia d’acqua, qualsiasi cosa è buona per essere venduta, regnano caos ed anarchia più totali. Ci viene detto che in qualche momento dopo le 11 passerà un bus che arriva da Nampula ed è diretto a Pemba. Attendiamo sotto il sole, fa caldissimo e siamo osservati da tutti, io cerco anche qualche passaggio chiedendo alle rarissime macchine che vanno in quella direzione, ma è molto difficile. Ad ogni modo riusciremo a raggiungere Pemba quando sarà già buio ed in 3 tappe: 2 autostop, uno nel retro di una camionetta e l’altro dietro ad un pick-up, ed 1 bus vero (machibombo) che scopriremo arrivava proprio dallo stesso incrocio in cui avevamo aspettato per tutta la mattinata; insomma ci saremmo potuti risparmiare la fatica dei vari cambi. Ci sistemiamo in un alberghetto vicino al mare e ci concediamo un’altra mangiatina di pesce per cena.

Il giorno seguente ce ne stiamo un po’ in spiaggia e nel pomeriggio andiamo a trovare Manuela, volontaria di Como conosciuta via internet tramite un amico e che vive in una struttura gestita da suore italiane ormai da 2 anni. Il bello è che le suore sono tutte in borghese e le troviamo molto sveglie e realiste, anche quando faccio qualche domanda piccante sul come vengono gestiti i soldi che arrivano dalla beneficienza e sull’effettivo aiuto che molte organizzazioni umanitarie non danno. Una di loro in particolare mi spiega le varie difficoltà, di come sia complicato insegnare ai mozambicani bisognosi a crearsi un proprio futuro, di qualche progetto da queste inventato per incentivare le piccole attività private con dei prestiti; si arrabbia un po’ quando dubito del lavoro che la Chiesa fa in queste zone, lei mi sottolinea di come le missioni siano state determinanti nell’aiuto alle popolazioni povere, proprio tosta sta suora. Questa struttura in pratica è un ritrovo per bambini e noi capitiamo il giorno in cui un dottore cubano è a disposizione per le varie visite e vaccini per chiunque ne abbia bisogno all’interno della comunità. Eh già, è proprio cubano il dottore e non è difficile immaginarlo, visto che il Mozambico è un paese comunista; ricordo che mi era stato detto che anche i sommozzatori venuti a recuperare dei reperti storici in mare nei pressi dell’isola di Mozambico erano cubani, a quanto pare Fidel non si lascia sfuggire nessuna occasione per tenere stretti i rapporti con i paesi amici.
Con Manuela facciamo un giro in macchina per accompagnare il dottore in città e lei ci mostra come Pemba stia crescendo a dismisura, l’ammasso di capanne abusive nei vari quartieri è talmente denso da non lasciare alcuna uscita di emergenza o strada per permettere ai mezzi di soccorso di entrare. Come al solito è un gran caos e ci sono zone intere trasformate in discariche a cielo aperto di spazzatura che quotidianamente viene bruciata. La cultura della raccolta differenziata e del riciclo naturalmente non esiste e anche durante i tragitti percorsi in chapa nei giorni passati ricordo che tutto veniva gettato fuori dal finestrino (lattine, bottiglie, carte etc.); di notte più volte ho notato i focolari qua e là che bruciavano la spazzatura dei villaggi.
La nostra amica tra le tante storie ci racconterà di come diventi ancora più complessa la situazione durante la stagione delle piogge che sta per arrivare (solitamente tra Novembre e Febbraio): i raccolti scarseggiano e nella mente del mozambicano medio non esiste la cultura di conservare il raccolto invernale anche per il fabbisogno estivo; no, qui si consuma tutto all’istante, non c’è organizzazione mentale e perciò d’estate ci sono più persone che muoiono di fame. Per non parlare della malaria e le altre malattie che subentrano. E poi c’è sempre quel senso di inferiorità dell’africano medio, il quale pensa che il bianco abbia la soluzione a tutto, nella maggior parte dei casi non ha voglia di sbattersi per i propri interessi e anche se gli si offre un lavoro interessante da fare, continuerà comunque a chiederti l’elemosina perché è la via più facile e comoda. Ricordo che Daniele, il volontario italiano conosciuto a Tofo, mi aveva raccontato di aver fatto un accordo con un ragazzo mozambicano per produrre quante più collanine possibile nell’arco di un mese da acquistare al prezzo stabilito dal giovane stesso, così da portarle in Italia e rivenderle per tirare su altri fondi da destinare ad aiuti per il Mozambico; pare che il tipo dopo 30 giorni si sia presentato con solo 6 o 7 collanine e dopo essere stato pagato per il lavoro svolto gli abbia chiesto di regalargli qualcosa.

La partenza per raggiungere l’arcipelago delle Quirimbas è prevista più o meno per le 4 del mattino dal centro città, si prevede un'altra giornata da incubo: il taxi prenotato la notte prima neanche si presenterà e fortunatamente troveremo un passaggio con una macchina che passava da quelle parti e per la prima volta non ci viene richiesta né accettata alcuna ricompensa in denaro per il servizio offertoci. Arrivati all’incrocio giusto imbarchiamo subito su un camioncino che gira e rigira più volte la città alla ricerca di clienti; in pratica avremmo potuto svegliarci un’ora dopo visto che alle 5  eravamo di nuovo al punto di partenza, quando finalmente il camion si è riempito abbastanza da poter partire verso il porto di Tandanhangue.
Il viaggio naturalmente è molto stressante e stavolta il mezzo è completamente aperto quindi arriva anche il vento abbastanza freddo (il sole deve ancora sorgere); comunque mi sto rendendo conto che le cose più interessanti da raccontare e che probabilmente mi resteranno più impresse sono proprio questi tragitti percorsi in camion, chapa o con i mezzi più disparati: qui si mette in scena uno spaccato di vita quotidiana che mai avremmo potuto vivere viaggiando comodamente in auto privata o mezzi da turismo. E proprio in questo tragitto verso le isole il passaggio attraverso i diversi villaggi sarà più colorito che mai: i venditori ambulanti salgono fin sopra il camion in corsa e scendono al volo pur di venderti un casco di banane o un qualsiasi frutto tropicale che sia; tutti comprano di tutto durante il tragitto e finalmente ne comprendiamo in pieno il motivo: il costo per trasportare le merci è molto elevato ed anche fare la spesa al mercato cittadino diventa caro, mentre così si compra la merce direttamente nei villaggi di raccolta o produzione. Ed ecco che le fermate sono spesso monotematiche: in una zona si vende solo un tipo di frutto, in un’altra l’alcool, più avanti ancora il riso; e la gente in viaggio man mano si riempie di scorte di roba. E’ talmente conveniente che Alba acquisterà 3 grandi papaye al costo di 20 centesimi di Euro. SPETTACOLO!!!
Arrivati al porto, che consiste in una piccola baia ed e un po’ di vegetazione, riusciamo appena in tempo a prendere l’ultima barca per l’isola di Ibo, la marea si sta abbassando e con qualche minuto di ritardo avremmo dovuto attendere fino a dopo il tramonto per partire; la barca è stracolma, per raggiungerla dobbiamo camminare con l’acqua oltre le ginocchia e durante il tragitto ci bagniamo continuamente con gli schizzi, sembra di dover affondare da un momento all’altro.
Ibo è l’isola principale dell’arcipelago delle Quirimbas e si presenterà ai nostri occhi un po’ come l’isola di Mozambico in versione molto più grande, meno popolata, di gran lunga meno organizzata e messa peggio in quanto a mantenimento dei vecchi edifici. Qui l’elettricità non esiste, perciò tranne che per qualche struttura che possiede il gruppo elettrogeno, la sera si cammina completamente al buio e la nostra torcia si rivelerà sempre più utile. Ma non è solo la luce a mancare: anche per mangiare bisogna organizzarsi molte ore prima e concordare la cena già dalla mattina con la signora che gestiva il nostro alloggio oppure ordinare presso l’unico albergo aperto in tutta l’isola; per fortuna la seconda opzione si rivelerà un’ottima scelta e l’aragosta e i buffet che ci hanno preparato, per la modica cifra di 6 Euro tutto incluso, difficilmente li dimenticheremo; anche perché a pranzo non avevamo molta scelta oltre ad un negozietto che proponeva il piatto del giorno e varie opzioni di chamusas (triangolini fritti ripieni di carne, pesce o verdure). C’è da dire che almeno ad Ibo non si muore di sete, ogni tanto si incontrano delle fontane che prelevano acqua dolce direttamente dal sottosuolo e spesso si vedono i bambini che si lavano in strada.
Durante la nostra permanenza non mancheremo di fare visita allo storico dell’isola, tale Senhor Joao Baptista, un simpatico anziano che a suo dire aveva avuto un ruolo istituzionale importante durante il periodo del colonialismo portoghese e che ci mostrerà diverse riviste internazionali che parlano di lui, oltre a rispolverare qualche aneddoto di vita vissuta a quei tempi.
Più viaggiamo verso nord e più ci stiamo rendendo conto di quanto il niente africano possa diventare affascinante. Un giorno faremo una bella camminata sotto il sole per il solo gusto di vedere un aereo decollare dall’aeroporto visitato 2 giorni prima (con la scusa di salutare un amico in partenza conosciuto all’isola di Mozambico): che dire, anche l’edificio aeroportuale è fatiscente, si limita ad una stanzetta senza porta né finestra, c’è il tetto per ripararsi dal forte sole, qualche panchina e la scritta “Ibo” in alto; la pista naturalmente non è asfaltata, ma di erbaccia secca ed un altro viaggiatore ci ha raccontato come qualche minuto prima una persona sia andata a correre dietro alle capre che occupavano la pista, in modo da cacciarle e permettere l’atterraggio di un velivolo; aeroplani piccoli e privati che portano turisti spesso facoltosi nei resort delle varie isole, naturalmente! Che SPETTACOLO!!! Nella stessa giornata abbiamo continuato a camminare per ore sotto il sole fino a perderci nell’interno di Ibo e poi finire sul lato opposto dell’isola, assetati e con poche zone d’ombra; fa proprio tanto caldo, ormai siamo nell’Africa più profonda, non troppo lontani dalla Tanzania.
Un giorno ci siamo organizzati con un barcaiolo e altri 2 turisti per un’escursione in dhow all’isola di Matemo, bella e soprattutto deserta, e al banco di sabbia, che si forma solo in alcune ore della giornata grazie alla bassa marea, creando così una minuscola isola sperduta nel bel mezzo dell’Oceano Indiano. Con un ragazzo australiano l’ultima sera andremo a curiosare in una discoteca locale dove pare fosse ospite un famoso dj di Nampula: cosa posso aggiungere, una baracca, musica ad alto volume, alcuni venditori ambulanti e tanti giovani, nient’altro.

Ad Ibo abbiamo visto i bambini mandati in giro a distribuire bandierine e semplici gadget sponsorizzati dal partito comunista Frelimo, che praticamente impone la sua leadership, un po’ come avviene nella maggior parte dei paesi di questo continente. Ad Ibo faremo una chiacchierata con i primi veri viaggiatori cinesi che io abbia mai incontrato negli anni (li avevamo conosciuti qualche giorno prima a Nampula e poi ci siamo ritrovati sull’isola di Mozambico e quindi alle Quirimbas): una coppia che ha viaggiato dalla Cina fin qui via terra, di cui lui pare se ne starà in giro per il mondo per un totale di 3 anni, dormendo sempre in tenda; mi racconterà di aver lavorato in borsa e che in un anno e mezzo ha guadagnato tanti soldi cavalcando il boom economico cinese, quindi ha mollato tutto ed è partito; tanto di cappello!

La direzione del nostro viaggio inizia ad andare verso l’interno, ad ovest, vogliamo entrare nelle viscere di questo continente ed attraversare Malawi, Zambia e, se le notizie sulla stabilità politica non saranno troppo preoccupanti, fare anche un giretto in Zimbabwe, prima di raggiungere le cascate Vittoria. Ma non vogliamo perderci per nessun motivo un viaggio in treno, che a detta di molti è interessantissimo, quindi ci toccherà tornare indietro fino a Nampula, dove passa la ferrovia. Riprendiamo la barca stracolma ed ancora un altro viaggio estremo in camion, ci vorranno “solo” 5 ore per percorrere i 100 chilometri che separano il villaggio di Quissanga, nei pressi del porto, da Pemba; questa volta il tutto sarà condito da un grande sacco di cemento posto sotto i nostri piedi che si romperà spolverando praticamente tutti i passeggeri di grigio.
Una cosa di cui non si può far finta di niente quando si viaggia in Africa è la diffusione dell’AIDS: da queste parti il 20-25% della popolazione è sieropositiva e fa un po’ impressione pensare che nel camion siamo una trentina di persone e probabilmente 7-8 sono infette da questa malattia. Il ragazzo mozambicano conosciuto nel primo viaggio in chapa verso Tofo ne dava la colpa ai giovani che a suo dire non usano il preservativo pur di provare più piacere. Qui se uno supera i 30 anni viene considerato vecchio e perciò sano ed intelligente per non aver contratto il virus; l’aspettativa media di vita in Mozambico si ferma ai 35-40 anni. Quest’Africa è proprio un mondo completamente diverso da quello in cui siamo abituati a vivere noi.
Alloggeremo in un albergo centrale a Pemba, così da essere vicini alla fermata del bus per il giorno seguente. Oggi è domenica e questa volta non voglio farmi sfuggire la partita di campionato della massima serie mozambicana Pemba contro Vilankulo; vincerà la seconda e noi riusciremo ad infilarci in tribuna per gli ultimi 15 minuti, iper osservati da tutti naturalmente, a volte in Africa mi sento quasi un extraterrestre. Lo stadio non è un granché, ma è abbastanza pieno e alle nostre spalle ci sono i giornalisti che commentano e conducono le interviste del dopo partita.
Alle 5 del mattino del giorno seguente siamo già in viaggio e questa volta troveremo un machibombo, bus scassato per carità, ma almeno è un bus grande che ci sembra quasi un lusso rispetto ai viaggi fatti negli ultimi giorni. A Nampula ci rilassiamo un attimo, internet, passeggiata al mercato, poi addirittura un supermarket, ma l’alloggio farà sempre schifo (nonostante ne abbiamo scelto uno differente rispetto all’ultima volta).

E finalmente siamo giunti ad un altro perno importante del nostro viaggio: il tragitto in treno che ci porterà tra i villaggi e le montagne nell’interno del Mozambico. Abbiamo molte aspettative da questa giornata e alla fine non resteremo per niente delusi; il fatto che in Africa non ci sia niente rende anche un semplice viaggio sulle rotaie qualcosa di molto particolare e interessante e qui la parola SPETTACOLO sarà azzeccatissima!!!
Dunque si parte puntuali alle 5, questa volta non ci sarà da attendere che il treno sia pieno zeppo, primo perché non funziona come i chapa, secondo perché effettivamente è comunque stracolmo. Noi abbiamo prenotato il giorno precedente 2 posti nell’unica carrozza di seconda classe, disponibile solo 3 volte a settimana insieme ad uno pseudo vagone ristorante; per il resto si viaggia in classe economica, un vero massacro. Il treno sembra degli anni ’60, l’atmosfera a cui eravamo abituati nei viaggi su 4 ruote, dove ad ogni sosta ci si ritrovava in un vero e proprio mercato ambulante, qui viene moltiplicata abbondantemente durante le fermate nelle pseudo stazioni ferroviarie. E’ incredibile: ad ogni villaggio le carrozze vengono letteralmente assalite, i passeggeri si affacciano dai finestrini oppure scendono per fare gli acquisti, i venditori salgono a bordo e poi saltano via al volo con il treno in cammino; anche noi faremo la nostra parte, in questo villaggio compriamo i cetrioli, nel prossimo le carote, dopo i pomodori e così via, spesso ci propongono anche le galline vive. E poi sul treno stesso molti passeggeri hanno le proprie mercanzie da vendere, è tutto un commercio.
Questa volta ancora maggiormente viviamo uno spaccato di vita locale: la gente chiacchiera, discute dei problemi del paese, poi ci si scambia di posto e di compartimento, si conosce nuova gente; si ha proprio la sensazione di stare in un paese comunista, anche se con parametri lontanissimi dalla nostra immaginazione. Molti si portano il pasto da consumare che quasi sempre consiste in una porzione di xima (il piatto nazionale, una specie di mais bianco pressato che si mangia con le mani) accompagnato da verdura cotta o pollo, cibo economico e che riempie lo stomaco, in vero stile africano.
Dopo aver attraversato villaggi, stazioni e paesaggi montani giungiamo in una decina di ore alla stazione di Cuamba. Siamo un poco stanchi, ma invece di fermarci e cercare alloggio, ne approfittiamo di un chapa in partenza verso il confine malawiano, così da bruciare i tempi ed essere pronti ad attraversare la frontiera la mattina seguente. Sarà l’ultimo viaggio massacrante in Mozambico e tra le varie lamentele dei passeggeri, uno in particolare mi ha fatto sorridere, sostenendo che in queste condizioni saremmo giunti a destinazione mutilati; e non aveva tutti i torti. E’ buio ormai e durante il viaggio si vedono i focolai della spazzatura che brucia. Qualche chilometro prima di giungere a destinazione il chapa si ferma nel bel mezzo del niente e l’autista ci fa scendere tutti per raccogliere i soldi del biglietto; credo abbia avuto paura che una volta arrivati qualcuno scappasse via senza pagare.
A Mandimba prendiamo una stanza per dormire, ceniamo e facciamo un giretto per le stradine (con la torcia accesa naturalmente, la luce tornerà solo in tarda serata). All’alba del giorno seguente 3 bici-taxi ci porteranno fino in frontiera, qualche chilometro più in là; con noi c’è anche Ashley, un tipo australiano abbastanza timido e tranquillo che ormai percorre il nostro stesso itinerario da diversi giorni. Devo ammettere che questi ragazzi fanno un po’ pena a vederli pedalare, noi siamo seduti dietro con i nostri zainoni enormi e loro si affaticano notevolmente per portarci a destinazione.
Sbrigate le pratiche doganali, attraversiamo a piedi i 1500 metri di terra di nessuno e stampiamo il visto di entrata in Malawi (questa volta è gratuito). Cambiare i contanti in strada sembra convenientissimo a tal punto che ripetiamo l’operazione 2 volte in poco tempo; solo successivamente ne comprenderò il motivo: il cambio ufficiale del kwacha applicato a livello internazionale, e quindi anche dalle carte di credito, è fisso, ma non rispecchia il valore reale del biglietto verde nelle strade, che viene valutato circa il 20% in più.

Viaggiamo verso Mangochi sul retro di un camion nel quale quanto meno abbiamo lo spazio per muovere i piedi. Qui pochi giorni fa si è svolto un grande festival musicale di livello internazionale al quale purtroppo non abbiamo fatto in tempo ad assistere. Facciamo un prelievo di contante extra, in quanto siamo diretti al lago e abbiamo paura di non trovare più banche; già in Mozambico ci era capitato diverse volte di aver avuto difficoltà nel prelevare. Ci dirigiamo quindi verso Monkey Bay con il trasporto pubblico che funziona più o meno come in Mozambico, ma stavolta ognuno ha il suo posto a sedere. Addirittura!!! Nonostante percorriamo il tragitto con un minibus messo veramente male, abbiamo quasi la sensazione di viaggiare comodi e i massacri mozambicani sembrano già un lontano ricordo. Sembrano!!! Scendiamo 5 km prima di Monkey Bay, ad un incrocio è parcheggiata una camionetta pronta a partire verso Cape Maclear, nostra destinazione finale: a questo giro viaggeremo di nuovo appiccicati e sotto un sole cuocente (siamo nelle ore più calde della giornata); l’unica fortuna è che il tragitto è breve, quindi verso le 14 siamo già sul lago.
Ci ritroviamo in un gran bel posto: si sta tranquilli, l’alloggio scelto è a ridosso della spiaggia e l’atmosfera molto rilassante. Sul bagnasciuga si svolgono tutte le attività quotidiane: la gente si lava, gli uomini pescano, le donne fanno il bucato e sciacquano piatti e padelle. Naturalmente la sera si va in giro sempre con una torcia in mano, in quanto l’elettricità è un’utopia. I malawiani sembrano molto disponibili e socievoli, passeggiando in spiaggia non si smette mai di salutare i bambini che chiedono continuamente di essere fotografati.
A Cape Maclear incontreremo molti turisti, gli alloggi sono quasi tutti sulla spiaggia, addirittura molti non hanno stanze disponibili e non è difficile capirne il perché: il Malawi viene spesso definito l’Africa per principianti, in quanto è un paese relativamente tranquillo e piccolo, la gente è amichevole e viaggiare non è difficilissimo, quindi si fermano tutti qui.

Il viaggio raccontato da: Chiara Stella


“Quando un luogo ci chiama bisogna andarci perché spesso può modificare la nostra natura energetica facendoci scoprire di più del nostro essere”..Questo luogo si chiama Africa.
Albe e tramonti incantati, spazi infiniti dove gli occhi si perdono, sorrisi indimenticabili,odori che solo la grande madre regala e persone incredibili che solo l’Africa riesce a farti incontrare.
Un viaggio iniziato ancora prima di partire per le tantissime difficoltà avute nell’organizzare questo mio grande sogno africano ma ora posso dire che tutto aveva un senso .
Se avessi seguito i piani iniziali non avrei mai potuto vivere quello che ho vissuto, non avrei conosciuto persone speciali e davvero incredibili che non a caso sono entrate nella mia vita..e ora più che mai posso solo dire Grazie!
Vorrei provare a descrivere a parole quanto ho vissuto ma le emozioni sono state talmente forti e intense che non ci riesco e posso solo dire di poterle vivere.
L’overland era il grande sogno che volevo realizzare, passare da un paese all’altro cercando di far entrare nella mia anima il più possibile l’Africa. Quando si passa da un paese all’altro ci si rende conto quanto  le distanze sembrano infinite, come i panorami cambino ma soprattutto cosa vivono gli africani quando devono viaggiare.
L’africa va vissuta … va fatta entrare dentro per poterla capire e amare.

Pertanto, passo alla parte tecnica del viaggio che forse interessa di più:
24.516,33 km percorsi  così distribuiti dal 4/10 al 30/10 2012

bologna-milano malpensa: 266 km
milano-johannesburg(via addis ababa) 8189,07 km
johannesburg-livingstone(zambia)955,42 km
livingstone-kasane(botswana)-livingstone 151,80 km
livingstone-windhoek (namibia) 1054,97
tour  namibia del sud e confine con il kalahari 2280 km
windhoek-cape town(sud africa) 1478,70 km
cape town-kleinbaai-hermanus-cape town (sud africa)280 km
cape town-johannesburg 1405,30 km
Johannesburg-Milano Malpensa (via addis ababa): 8189,07 km
Milano malpensa-bologna:266 km.

E' stata un esperienza meravigliosa,la ripeterò assolutamente!

Il viaggio di Cristiano Darti


Un  viaggio in Algeria bisogna sempre intenderlo come un salto nel passato ed il valico doganale subito dopo l’avamposto tunisino di IN HAZOUA e’ praticamente il luogo dove avviene il passaggio spazio-temporale !
L’attesa presso gli sportelli doganali che normalmente affrontano i fortunati viaggiatori che entrano  in  Algeria, e’ da intendersi come un rito propiziatorio………qui si inizia a venire in contatto con la loro realtà ed i loro ritmi completamente diversi dal nostro mondo. L’accoglienza verso il visitatore  è sempre squisita e sincera,  alla quale “noi civili”  non siamo più abituati. L’idea che si e’ fatta la popolazione occidentale di questo paese e’ totalmente sbagliata, essendo frutto delle notizie superficiali diffuse dai mass media circa le lotte intestine algerine durante gli anni ’90, ma mai approfondite e spiegate dai tanti “esperti politici”  di turno. Ecco, di conseguenza, la nostra diffidenza e paura verso questo popolo, tanto generalizzata quanto infondata, dimenticandoci che nel nostro paese si effettuano giornalmente ben più atroci violenze, delle  vere e proprie guerriglie urbane……..
Appena passata la dogana algerina notiamo subito la presenza forte del grande padrone del paese: Il Sahara ! Il piccolo nastro di asfalto si insinua fra poderose dune che coprono anche gli stessi pali della luce creando un paesaggio particolare. Arriviamo subito all’oasi di EL OUED, piccolo insediamento urbano dove si può subito cambiare del denaro e rifornirsi di scorte alimentari. Ne approfittiamo subito per mangiare un ottimo cous cous presso un nostro vecchio amico algerino, conosciuto nei viaggi algerini degli anni ’80. Notiamo che  la popolazione e’ curiosa verso lo straniero e cerca in tutti i modi di aiutarlo e conversare con lui. Purtroppo il turismo nel paese in questi ultimi dieci anni e’ crollato vertiginosamente e l’isolamento verso l’occidente si e’ fatto sentire. I giovanissimi cercano più di tutti di parlare con il turista od almeno scambiare dei gesti, perché sono coloro che sono cresciuti durante il suddetto periodo di crisi, senza contatti diretti con lo straniero e bisognoso di uno scambio cultuale.
Riprendiamo il cammino verso sud tramite un asfalto deteriorato, superando montagne e colline  senza mezzi termini, direttamente tramite delle enormi salite e vertiginose discese…….viene da pensare che non si possano  perdere soldi e tempo a costruire delle “costosissime” curve per alleviare le pendenze ! Attraversando i vari paesi ed oasi più o meno grandi vedo con piacere che nulla e’ cambiato nell’architettura e nei ritmi di vita di venti anni fa, quindi inizio a pensare che questo isolamento turistico ha avuto almeno il vantaggio di conservare intatti  i loro costumi ed usanze, discorso che non si può assolutamente sostenere, per esempio, con la Liba di Gheddafi, orami modernizzata ed organizzata all’inverosimile.
Di altopiano in  valle arriviamo ad HASSI MESSAOUD, centro industriale che trae vita dagli innumerevoli pozzi petroliferi e di gas che proliferano nel deserto circostante. Praticamente il villaggio e’ un’enorme dormitorio dove si alternano gli operai di tutte le nazionalità, dipendenti di tutte le più grandi Società petrolifere mondiali. Il centro non offrirebbe nessun motivo di sosta se non fosse per la richiesta di permesso per circolare nel sud del paese, da effettuarsi presso il posto di Polizia. In pochi minuti otteniamo il visto e via giù diretti verso l’incrocio storico e tanto caro al viaggiatore sahariano : l'incrocio dei “4 Chemini”.

Qui ci accoglie un piccolo nucleo militare che controlla i nostri permessi e che…….ci invita a bere il classico the del deserto ! Anche fra i militari l’ospitalità e’ squisita anzi direi maggiore di quella manifestata  dai civili, forse frutto del loro maggiore isolamento degli sperduti avamposti territoriali. Il militare in Algeria non ha certo vita facile…..scattate le foto di rito e dopo essersi congedati da loro con delle poderose e cordiali pacche sulle spalle, eccoci finalmente sulla lunghissima pista che ci porterà verso il sud del paese !
 Anche  qui troviamo delle conseguenze del crollo turistico……non c’e più traccia della vecchia pista segnatissima e trafficata anche dagli enormi camion da trasporto algerini. La diminuzione dei mezzi, unitamente alla forza degli agenti atmosferici, hanno fatto scomparire  quasi completamente la pista ed ora si intravede, a malapena, in alcuni tratti. Prendiamo subito mappa e GPS per tracciare la rotta e non perdere tempo in viziosi giri per quest’immenso altopiano, consumando carburante inutilmente, anche perché il prossimo rifornimento e’ distante più di 700 km !
Viaggiamo per ore senza punti di riferimento e con tracce di vecchie piste che si snodano a 360° che non fanno altro che disorientare. Congedati dai militari cerchiamo di recuperare il tempo perduto nella sosta perché ben presto  il sole inizierà a scendere all’orizzonte ma all’uscita del villaggio praticamente non c’e’ più traccia di pista e quindi vagando per la vallata ci infiliamo dentro un piccolo Erg di dune molto divertente ed eccitante. Questo terreno ci regala decine di chilometri a mo’ di montagne russe, tutte molto dolci ed affrontabili in velocità ! Divertimento alle stelle e qualche insabbiata di troppo. Montiamo il campo in questo scenario da favola, immersi nel grande Sahara lontani “anni luce” dal nostro mondo……questa si che e’ vita !
Il giorno dopo proseguiamo la scesa verso sud attraversando veri e propri labirinti formati da innumerevoli pinnacoli rocciosi che disorientano e nascondono la visuale generale. Facciamo il punto numerose volte sulla carta dato che vogliamo passare fuori dalla pista ufficiosa e notiamo che ci ritroviamo molto più a est di quello che pensavamo.  Proprio per questo fuoripista, però, abbiamo a disposizione degli scenari naturali indescrivibili per bellezza ed unicità.
Numerose sono le gazzelle che ci attraversano davanti spaventate dal passaggio dei mezzi ed anche enormi varani i quali, però, incuranti di noi ed intenti alla loro dose di sole quotidiana. Arriviamo, dopo tre  giorni di marcia, presso l'unico passaggio che ci permetterà di salire  sulla catena montuosa dell’Assekrem. Questo varco naturale  e’ praticamente un “buco”  largo solamente 2-3 metri fra gli enormi massi e formazioni rocciose che si trovano ai piedi della catena montuosa e quindi non e’ poco l’impegno richiesto per “centrarlo” dopo 400 km di pista su pianori a perdita d’occhio ! Alla vista del passaggio ci rincuoriamo perché solamente questo punto ci assicura di essere sul luogo esatto ed un eventuale errore di navigazione non ci avrebbe consentito di tornare sui nostri passi dato che avevano superato il limite del “non ritorno”, dal punto di vista della scorta carburante.
La salita e’ a dir poco impegnativa ed eccitante perché bisogna guidare con le ridotte all’interno di un sabbiosissimo oued (letto di fiume in secca) in salita senza levare mai il gas per non insabbiarsi ed evitando massi ed alberi disseminati “a macchia di leopardo” davanti a noi. Le imprecazioni e le richieste di aiuto via radio CB si sprecano ed impieghiamo alcune ore per salire fino alla vetta, dove decidiamo di montare il campo per la quarta notte.

Il viaggio di Virna


Torino Lome 6 gennaio 2012
Abbiamo fatto questo viaggio con Transafrica, ottimo tour operator specializzato in viaggi nell'africa occidentale, con cui abbiamo già viaggiato in precedenza, Burkina Faso e Guinee. Lo scopo del viaggiio è la scoperta di tre paesi africani accomunati dalla religione vudù, rito divenuto relione nel 1996 e dalla triste storia della tratta degli schiavi. Noi arriviamo a Lomè qualche giorno prima del gruppo, un po' per fuggire dal freddo della nostra città in questo periodo, un po' per poter vedere qualche cosa in più rispetto al tour. L'hotel, scelto per i primi 2 giorni,è carino, più vicino all'aeroporto che al centro di Lomè, si chiama Napoleon lagune e si affaccia a quello che qui viene definito il lago o la palude, lontano dal caos del traffico. Ha poche stanze ma pulite e con l'indispensabile, comprese le ciabatte. Una piccola piscina ai bordi della quale vengono serviti i pasti, colegamento wifi gratuito, anche se lento o internet a disposizione. Colazione con frutta fresca, formaggio pane, burro, marmellata e bevande di rito.
Iniziamo la nostra vacanza raggiungendo, a piedi, il centro della città ed il gran mercato. Lomè è una città senza attrattive particolari. La grande e bella spiaggia sull'oceano è praticamente deserta. Il mare è pericoloso a causa di forti correnti. Scopriamo presto che non sarà facile dar seguito al nostro desiderio di andare a Togoville, storica capitale del vudù togolese situata sul lago Togo. Dopo aver saputo che non esistono minibus che vi arrivano, che non esiste una stazione di bus vera e propria, e contrattato con diversi taxi, che ci hanno chiesto l'equivalente di 15 euro per portarci e che ci vuole un sacco di tempo.... Lasciamo perdere. Passiamo quindi 2 giorninal cazzeggio per Lomè incluso un bagno nella grande piscina piscina dell'hotel Ibis, nel quale ci trasferiamo il pomeriggio dell'8 a carico di Transafrica.
Lomè è una città parecchio estesa ed ordinata : da una parte il calmo quartiere amministrativo, dove si lasciano ammirare alcuni begli immobili in stile coloniale ; dall'altra il vivace quartiere degli affari, dominato dal mercato centrale. C'è un intenso traffico soprattutto di motorini e parecchio inquinamento. A suo favore è la discreta puliza che risulta evidente, mercato a parte, tra i più grandi che io abbia visto. A suo sfavore l'impossibilità di muoversi a piedi la sera per il rischio, pare elevato, di rapine a causa della scarsa illuminazione. Pranzato e cenato discretamente  al Bena Grill, o Marox in rue du lac Togo, nei pressi del mercato. Cucina più tedesca, con stinco e patate fritte, birra bavarese Paulainer, in un ambiente da October fest, che africana. Sui 15.000 cfa. circa 10 euro. Non male anche la cucina dell'hotel Napoleon con zuppa di cipolle e filetto di zebu. Prezzi un po' alti ma in Africa a meno di mangiare per strada, i ristoranti sono cari.
Nel caso qualcuno fosse interessato, L'hotel 2 febbraio, il più bello della città era stato affidato ad una compagnia libica per la ristrutturazione ma, a causa dei recenti problemi, ora è chiuso
Accra/Lome in 8 gennaio 2012
la terra si muove a velocità differente a seconda di chi sei tu (proverbio nigeriano)
Raggiungiamo il resto del gruppo, proveniente da Accra, al ristorante dell'hotel Gallion, cucina niente di particolare ma ad un buon prezzo. Siamo in 13 provenienti da Europa, America, Nuova Zelanda. Ci spostiamo poi, tutti su un pulmino piuttosto grande, al mercato dei feticci per iniziare subito ad entrare nel mondo del voodoo o vodoun, come si scrive qui. Subito ci poniamo la domanda se questo mercato sia per locali o per turisti. la risposta arriva da sola dopo il giro del mercato e dopo aver visto le innumerevoli teste di animali seccate al sole, parti di organi, pietre e radici. Nessun turista tornerebbe a casa con souvenir di questo genere. Unica eccezione le coppie di statuette ricoperte di chiodi, che non vengono vendute come feticci ma prorpio come souvenir ed hanno un po' di macabro che ricorda il lato oscuro del voodoo ed alcuni brutti film degli anni '70. Riprendiamo il viaggio verso il Benin e sulla strada per il confine ci fermiamo un attimo ad Aneho, prima capitale del Togo che si trova tra il lago Togo ed il mare, per ammirare il bel paesaggio.
Dopo il disbrigo delle formalità di rito al confine puntiamo verso Ouidah, dove domani si svolgeràil festival voodoo. Giungiamo all'hotel Casa del papa, un bellissimo complesso sul mare a 5 km dal centro di Ouidah.
Ogni anno in Benin il 10 gennaio è giorno di festa, in cui si onora la religione tradizionale ed i suoi culti. In particolare a Ouidah si tengono celebrazioni vudù, che radunano migliaia d'adepti, capi tradizionali e "feticheur".
Ouidah è considerata una delle capitali  del vudù africano. In questa città, antico porto del traffico negriero dall'architettura afro-portoghese decadente coabitano uno di fronte all'altro il tempio dei pitoni e la cattedrale cattolica. Si respira un'atmosfera al di fuori del tempo, molto ben descritta da Chatwin nel suo libro «Il viceré di Ouidah».
Il festival del voodoo raccoglie mootissimi consensi.
La nostra giornata inizia con l'andare nella casa del Re del vodous che tra i canti delle fedeli accoglie i vari ministri del culto , che arrivano anche dall'estero. I Fetichur, persone che usano i feticci ma non sono stregoni, sono i sacerdoti e le sacerdotesse vodous, indossano abiti bianchi, molte collane un gran cappello e si appoggiano ad un bel bastone intagliato. Bianchi sono anche gli abiti o gli accessori usati dai praticanti di questa religione mentre le bandiere bianche che si vedono spesso nei villaggi indicano i luoghi dove questa religione viene praticata.
Seguiamo il corteo del re fino alla Porta di non ritorno, monumento eretto per non dimenticare le migliaia di schiavi che da qui venivano imbarcati verso le americhe. Dietro la grande porta si estende un'immensa spiaggia allestita per ospitare il XX festival del vodous, alle sue spalle la grande spiaggia e poi l'oceano.
La manifestazione che è gratuita, si paga solo per fotografare, 15.000 cfa o per filmare 25.000 cfa previa autorizzazione e consegna di braccialetto distintivo da richiedere all'organizzazione all'ingresso, inizia verso le 12 sotto un sole cocente ed un umidità spaventosa. Sotto i tendoni allestiti per ospitare turisti e fedeli si suda copiosamente. In più parti della piazza i tamburi suonano incessantemente e gruppi di donne ballano le loro danze tradizionali, incuranti del caldo. Un presentatore annuncia gli ospiti illustri presenti ed i discorsi che seguiranno, tra cui la famosa cantante Angelique Kidjo, di cui ho molto apprezzato il discorso, ma  la gente comune ha già iniziato a proprio modo a festeggiare. Gruppi di maschere Zmbetu che assomigliano a dei pagliai, fanno il giro della grande piazza ed si tirano dietro gruppi di fedeli e curiosi. Lo speaker fa del suo meglio per far tornare la gente al proprio posto ma con scarsi risultati. Dopo i discorsi di rito, brevi per fortuna, il fetival va a ruota libera. Sul palco si succedono vari gruppi ma nella piazza e fuori vicino al mare c'è la vera festa. Sulla spiaggia tantissimi fedeli rendono omaggio al vodou del mare Mami Wata facendo delle offerte lungo la battigia. Un Feticheur fa un'offerta di banane e prega finchè una grande onde si infrange sulla spiaggia e le porta via facendolo esultare di gioia. Poco lontano un gruppo di danzatori del vodous del nord fa le prove del breve spettacolo che offrirà più tardi e la gente si entusiama nel vederli. Venditori di ogni sorta di cibo passano tra la gente ormai affamata ed assettata. I gruppi di suonatori di tamburi sono sparsi per la piazza e vicino ad ognuno si celebra un vodou diverso, con cerimonie diverse. Non si sa più da che parte rivolgersi. Per fortuna ogni volta che mi fermo ad osservare trovo sempre qualcuno che mi spiega il significato di quello che sto vedendo. Questi fetseggiamenti proseguono fin verso le 15.30 poi la gente si dirige verso la città dove questi proseguono in una piazza più piccola o in cortili privati. Sono rimasta piacevolmente affascinata da questo festival, che mi ha coinvolto ed emozionato, più di quanto immaginavo. La fine delle celebrazioni è pero' in una piazza un po' nascosta con la cerimonia delle maschere Egun, le maschere che incarnano lo spirito dei morti. Ce ne sono davvero tante con i loro splendidi vestiti coloratissimi. Stanno in mezzo alla piazza e fanno le loro danze tenute a distanza con dei bastoni da alcuni ragazzzi poi, ogni tanto da spiriti un po' dispettosi, corrono verso la gente che scappa crenado un bel po' di confusione. Essere toccati da queste maschere, che rappresentano i morti, porta male e quindi nessuno vuole correre il rischio. Questa cerimonia non ha limiti di tempo, dipende dalla voglia delle maschere di giocare col pubblico. Noi, dopo più di un'orà visto il buio imminente decidiamo di tornare in albergo.
Buona cena a base di zuppa di pesce alla francese e clamari fritti con riso.
Qunado gli elefanti combattono è l'erba che soffre ( proverbio nigeriano)
g.4: Ouidah – Dassa
Qualche chilometro a nord di Cotonou si estende una regione lacustre che accoglie Ganvie, esteso villaggio sulle palafitte. Gli abitanti, dell'etnia Tofinou, costruiscono le loro capanne su dei pali di teck e ricoprono i tetti delle loro abitazioni con una spessa coltre di paglia. La pesca è l'attività principale di questa popolazione il cui l'isolamento ha permesso di conservare le abitudini e le regole di costruzione originarie. Nelle piroghe, che uomini, donne e bambini conducono con facilità con l'aiuto di lunghe pertiche, si scandisce la vita quotidiana. È sulla piroga che si va a pesca, ci si sposta, si mettono in mostra le merci da vendere al mercato, si canta accompagnando il ritmo delle pertiche...le pafitte non hanno coloegameti tra di loro tipo passerelle quindi qualsiasi attività al di fuori della propria abitazione si svolge sulle canoe. Gli uomini si occupano della pesca le donne di portare il pescato al mercato del paese o di svolgere le attività commerciali nella ''piazzà' del villagio dove si tiene un colorato mercato galleggiante, molto simile a quelli asiatici. Interessante anche la moschea su palafitte. Questo popolo non ama essere fotografato. Le donne si coprono il volto tenedo una mano aperta davanti al viso.
Il viaggio prosegue verso d' Abomey. La strada che in realtà è una pista, non è lunga ma in cattive condizioni per cui ci si impiegherà parecchio tempo.
Visita del Palazzo Reale d'Abomey, i cui muri sono decorati con i simboli degli antichi re del Dahomey. Il palazzo è ora un museo che conserva tra l'altro le spoglie mortali dei re ed un tempio costruito con argilla mischiata con polvere d'oro e sangue umano. Il Regno del Dahomey stabili' le basi del proprio potere su uno stato permanente di guerra che gli permise di catturare prigionieri da rivendere come schiavi. L'esercito reale era formato anche da truppe femminili, che si caratterizzavano per l'audacia e la bellicosità.
Gli storici sottolineano la dimensione "laica" del potere esercitato dai re del Dahomey. Il re non era né un dio, né un sacerdote, nonostante il numero abbondante di sacrifici umani che erano compiuti sulle tombe dei re in alcune occasioni particolari.  Il potere era esercitato secondo una razionalità accessibile ad una mentalità europea.
Il palazzo non ha particolari attrattive sono una serie di costruzioni lunghe e strette decorate sulle facciate dai sinboli dei due re, l'elefante per Glèlè ed i bufalo per suo padre Ghezo. All'interno un  trono un mantello e qualche suppellettile. È assolutamente proibito fare fotografie..... Non si capisce perchè.
Arrivo in serata Dassa Zoumè. Pernottiamo all'hotel Auberge Dassa Zoumè
(20.000 cfa a notte) posto tranquillo, stanza essenziale e niente acqua calda, notiamo che le lenzuola sono sporche e ce le facciamo cambiare. In tutte le stanze si troviano parecchi pacchi di preservativi.

g.5 : Dassa - Sokode
Si riparte in direzione nord, facciamo una prima sosta ad Atakora Dove nel 1952 è apparsà in una grotta, la Madonna  qui è stata costruita una grande chiesa che ora è meta di pelligrinaggi. Subito dopo ci fermiamo presso un importante luogo di culto vudù. Il feticcio di Savalou. La presenza di diversi bastoncini di legno ricorda l'innumerevole serie di preghiere che sono state rivolte al dio locale per soddisfare bisogni della vita di tutti i giorni : un buon raccolto, un felice matrimonio, un parto senza problemi..... Anche noi facciamo la nostra preghiera al feticcio. Un ragazzo pianta per noi un bastone nel terreno pronunciando una preghiera per il gruppo ma il rito non è completo se non si versa dell'olio di cocco e si sputa dell’acquavite sulle due parti del feticcio.... Nessuno vuole bere dalla bottiglia comune per poi sputare... Io mi faccio avanti e con una bella sorsata, con relativo spruzzo di acquavite su entrambe le parti più il resto porto a termine la ceromonia tra gli entusiasmi dei locali. Nel frattempo assistiamo allo spiumaggio di alcuni polli appena sacrificati da un signore che aveva visto esudire la sua preghiera.
Pare che i due luoghi di culto siano strettamente legati. I fedeli che vanno in pellegrinaggio sul luogo dell'apparizione della madonna passano anche a rendere omaggio al potente feticcio vodù e viceversa. Questo è il sincretismo africano.
Ripassiamo la frontiera con il Togo senza grossi problemi. Ci fermiamo lungo la strada per mangiare le cose preparate dal nostro cuoco ed assaggiamo, comprandolo da una donna che lo cucina per strada l'Agouti, una sorta di grande nutria, carne molto apprezzata da queste parti. Altra breve fermata in un mercato locale per acquistare un po' di frutta e curiosare sulle bancarelle. Il paesaggio che attraversiamo durante il trasferimento è costellato da dolci collinette e campi di cotone. Arriviamo a Sokodè piuttosto presto, in Togo il fuso orario prevede un'ora in meno, percui noi decidiamo di fare un giro per la cittadina. Non vediamo niente di particolarmente interessante, cosi' facciamo un giro per l'ennesimo mercato variopinto attiranto la curiosità dei locali evidentemente non abituati a vedere bianchi.
Dopo la cena veniamo portati in un piccolo villaggio Tem a pochi km da Sokomè per assistere alla danza del fuoco, festa tradizionale di questa etnia dle Togo
Al centro del villaggio un gran fuoco illumina i presenti, che danno avvio alle danze al ritmo incalzante dei tamburi. I danzatori in stato di trance si lanciano nelle braci, le prendono in mano e in bocca, se le passano ovunque sul corpo senza riportare alcuna bruciatura né dare segno di dolore. Tutto il villaggio assiste con noi a questo rito partecipando cantando ed incitando i danzatori
Forse sono proprio i feticci che proteggono contro il fuoco. Bisognerebbe provare per credere e… credere per provare!
Coraggio? Autosuggestione? Magia? Difficile spiegare una tale performance che lascia comunque sbalorditi.
L'hotel Central è un buon albergo con stanze e bungalow. I bungalow sono a pianta circolare divisi in due parti, salottino e zona notte. Anche il bagno è diviso in due ambienti. Prezzo.....cena niente di speciale con carne di maiale estremamente dura.
Quando hai tante cose da fare inizia con un buon pasto. (proverbio del Sud Africa)
g.6 : Sokode - Kara
Una pista attraverso la catena collinare dell'Atakora ci porta all'incontro con l'etnia dei Tamberma. Per ragioni di difesa hanno trovato rifugio da secoli nella catena montuosa dell'Atakora, su un territorio dall'accesso difficile che ha permesso di sfuggire a tutti gli influssi esterni e principalmente alla tratta negriera verso il nord Africa islamizzato. È infatti piuttosto complicato arrivare nelle terre dei Tamberna senza appoggiarsi ad un organizzazione, non ci  sono infatti bus che percorrono i circa 30 km che occorrono da Kandè a queste terre. Secondo gli specialisti le loro origini li accomunano ai Dogon del Mali: con loro condividono una fedeltà assoluta alle proprie tradizioni animiste. Prova ne è la presenza di grandi feticci, uno per ogni abitante, all'entrata delle loro case. Le dimore, si singolare struttura, le ''Tata", sembrano dei piccoli castelli costruiti anche su tre piani, col tradizionale bankò. Visitiamo alcune di queste case, al cui interno vengono anche accolti alcuni animali ed assistiamo anche al rito di iniziazione di due ragazzi che consiste in una forma di lotta con frusta e bastoni che si conclude con una danza collettiva.
Lungo la strada per tornare a Kara, dove pernotteremo, ci fermiamo ad osservare il lavoro di alcuni fabbri che forgiano del ferro di recupero, con mantice a mano, per realizzare semplici utensili quotidiani come zappe o coltelli e come i loro antenati usano una grossa pietra, anzichè un martello per batterlo.
Pernottamento all'hotel Kara, il migliore della città. Stanze ampie da 23 a 28.500 cfa a notte. Ma anche bungalow. L'hotel ha la piscina, pulita, ma non fornisce il servizio di asciugamani. Non ha, al momento, alcun collegamento ad internet. Buona la cena a base di zuppa di verdure e di pesce capitan.
g.7: Kara - Tamale
Lasciamo il Togo, per il Ghana, passando per la frontiera di Tatale. Dove a causa di problemi con un visto ci attardiamo più del previsto con la conclusione di doverci portar dietro fino a Tamale una "scorta" di due polizziottil Passiamo anche dalla strada asfaltata ad una semplice pista di terra rossa piena di buche e salti, nella migliore tradizione africana.
Visitamo quindi i villaggi Dagomba. Questa popolazione rappresenta un ottavo dell'intera popolazione ghanese. I loro villaggi si caratterizzano per un numero importante di case rotonde, con tetto in paglia. Gli abitanti, dediti all'agricoltura, si sono stabiliti da tempo su questi territori, condividendolo con altri gruppi, tra i cui i Konkomba.
Ci fermiamo quindi in un villaggio Konkomba, popolato da... streghe! Considerate come responsabili di fatti gravi quali la morte di un giovane, una malattia improvvisa, un raccolto mal riuscito... queste donne, circa 200 ma anche una quarantina di di wizard, stregoni, sono esiliati in questo villaggio, ma ve ne sono almeno altri due analoghi nel paese, dove la presenza di un feticcio speciale e di un Feticheur sono in grado di "controllarle". La loro accoglienza gentile e sorridente fa da contrasto con le storie gravi che giustificano il loro esilio. Alcune di loro, dimostrata la loro innocenza preferiscono comunque restare a vivere in questo luogo tranquillo. Un'architettura tradizionale semplice, riadattata alle esigenze di una comunità speciale, le capanne sono piccole per accogliere una sola persona,  fa da quadro ad un villaggio esteso e pulito.
Ripartiamo verso Tamale, con sosta al primo centro un po' importante per cambiare  dei soldi. Il Ghana, infatti, pur facendo parte della Confederazione degli stati dell' Africa occidentale non ha adottato il Cfa come moneta ma il Cedi 1 euro = 2 cedi. Arriviamo a Tamale, una delle più grandi città del Ghana, che è ormai tardi. Pernottiamo al Gariba Lodge, hotel parecchio lussuoso per gli standard africani. Costo delle stanze, molto grandi con salotto, mega tv, frigobar non funzionante, bollitore con nescafè, ma una sola minisaponetta nel bagno, dai 90 ai 115 cedi a notte compresa colazione a buffet. C'è anche il wifi anche se non velocissimo. Ottima la cena selfservice con zuppa di verdure, pasta, riso bianco, pesce, pollo, verdure miste, patate fritte e frutta.
g.8: Tamale - Techiman
La giornata inizia su una pista sconnessa che ci porta alle cascate Kintampo, nella regione omonima. Non paragonabili di certo a più famose cascate africane ma decisamente notevoli  e ben immerse in un splendida natura. Pranziamo anche nel parco istituito per salvaguardarle, ingresso al tutto 5 Ghana a testa. Poi proseguiamo, sempre su pista, verso la regione del Brong Afo abbandoniamo a poco a poco la savana con i suoi paesaggi brulli e bruciati dal sole per inoltrarci in una pista fra muri di vegetazione che ci porta alla foresta sacra di Fiema Boabeng.
Nel giro di qualche decina di chilometri il contesto è cambiato, la natura è diventata rigogliosa. Un'altra Africa.
Gli abitanti di Fiema e Boabeng considerano le scimmie Colobus e Monas delle incarnazioni degli antenati e quindi le rispettano come spiriti tutelari.
Le scimmie Monas sono piccole e verde-marrone, in questa regione non temono l'uomo ed entrano nei villaggi e nelle case, dove è comune vederle, "rubare" del cibo.
Le belle scimmie Colobus hanno un manto di lunghi peli neri su tutto il corpo all'eccezione della coda e del volto cerchiato di bianco. Ricercate per la pelliccia e per la carne, le Colobus sono in via d'estinzione in tutto il resto del continente africano. Le Colobus vivono sulla cima degli alberi nella foresta, completamente indifferenti al passaggio degli uomini.
L'ingresso al parco per gli stranieri costa ben 10 Ghana, contro i 3 pagati dai locali. Con una bella passeggiata nella foresta ricca di  piante secolari gigantesche arrivamo a vedere alcuni branchi di scimmie Monas e Colobus che convivono pacificamente al limitare di un villaggio.
Nel tardo pomeriggio arriviamo a Techiman, hotel Prestige palace, stanze da 35 a 60 Ghana. Un po' spartano ma con l'essenziale, a parte una sovrabbondanza di zanzare! Nella stanza, non molto grande, troviamo un letto king size, 3 piazze, molto comodo.  Il bagno è piccolo e scarsamente illuminato. Cena selfservice, sulla terrazza, con parecchie portate. No wifi ma un internet point, con collegamento lento, a pagamento.
g.9: Techiman - Kumasi
Ripartiamo alla volta di Kumasi. Lungo il percorso, finalmente una strada asfaltata, ci fermiamo in un mercato di frutta a a fare acquisti. Gli ananas di questa regione sono spettacolari. Enormi e dolcissimi. Peccato che questo non sia periodo di manghi...
Kumasi è una città di 3 milioni di abitanti, che vanta un passato che ruota attorno ai re ashanti che dalla fine del 17° secolo ad oggi hanno mantenuto vive le tradizioni e la forza del loro popolo ed un  presente, rappresentato da floride attività economiche, che traggono profitto dalle oppurtunità offerte dalla foresta e dalle miniere d'oro.
Iniziamo il giro della città con la visita al piccolo ma interessante museo ashanti, collacato all'interno di un bel parco che è anche centro culturale.  In quest’'oasi di pace, all'interno della città molto caotica a causa della troppe auto, si trovano  una serie di negozi di artigianato locale ed un ristorante. Passiamo, poi ad un, purtroppo breve, giro del mercato. La cui vista dall'alto lascia sbalorditi. È immenso! Molto più esteso e caotico di quello di Lomè. Si calcola che ogni giorno più di 10.000 persone facciamo affari in questo luogo. È di sicuro uno dei mercati all'aperto più vasti dell'Africa Occidentale. Dopo aver girovagato, non senza fatica, negli stretti passaggi tra i banchi in mezzo a mucchi di abiti usati, provenienti quasi sicuramente da aiuti umanitari ed ad una folla che ti spinge e ti trasporta dove non vuoi,  mi limito all'acquisto di un pezzo di tessuto in cotone stampato. Dopo aver cercato di contrattarne il prezzo con diverse venditrici scopriamo che è una merce che non si contratta. Ha un prezzo fisso, 3 ghana per una yard, 94 cm. Mentre i tessuti ashanti, prodotti ancora a telaio in strisce di 15 cm per 150, e poi cuciti insieme per la larghezza desiderata, sono mooolto più cari circa 10 volte tanto.
Nel pomeriggio riusciamo ad essere invitati ad un  funerale ashanti, grazie all'intercessione di un contatto locale. Questi funerali, sono in realtà una celebrazione festosa della memoria del defunto, che si svolge una settimana dopo l'inumazione, cerimonia più privata. Tramite questa celebrazione il defunto diventa un antenato per tutta la famiglia. I partecipanti esibiscono ricchi tessuti rossi e neri. Gli uomini si drappeggiano del tessuto nero come gli antichi romani, lasciando una spalla scoperta. Le donne ricoprono degli abiti rossi con del tessuto nero e portano copricapi neri. Il funerale a cui assistiamo coinvolge una comunità piuttosto numerosa e veniamo invitati a salutare tutti i partecipanti seduti nelle prime file all'interno di vari cortili e all'ombra di parasoli. Più di un centinaio di persone! Dopo questo rituale possiamo noi stessi sederci in prima fila aspettando di essere salutati a nostra volta. Nel frattempo i tamburi rituali non smettono mai di suonare ed una specie di cerimoniere inizai le danze rituali con i gesti estremamente raffinati che caratterizzano le danze ashanti. Un'anziano mi invita a danzare e poi mi segue spiegandomi le movenze del ballo. Poco dopo le donne sedute intorno alzano la mano destra con l’indice ed il medio uniti un mix di benedizione e  segno di vittoria e capisco di avere ottenuto il loro consenso. Infatti poco dopo mi chiedono da dove vengo e cosi' scambiamo qualche battuta. La cerimonia prosegue coinvolgendo nel ballo via via sempre più persone che si susseguono in uno spazio più ampio fino a fine cerimonia che puo' durare anche un paio d'ore.
Per il pernottamento ci spostiamo all'hotel Miklin, un po' fuori dal caotico centro. La stanza è grande, con letto king size, tv, minibar funzionante, ampio bagno acqua calda ed il necessario per farsi un nescafè o un the. L'hotel ha pure una piscina di dimensioni discrete. C'è il wifi in stanza ed alcuni pc disponibili nella hall. Buona la cena selfservice scarsa, invece, la colazione che viene servita al tavolo con un servizio lento. Prezzi daigli 80 ai 105 ghana a notte.
g.10: Kumasi - Anomabu
Il nostro contatto ha organizzato un incontro con un capo ashanti, il responsabile degli ornamenti del re Ashanti Osei Tuti II, anch'esso re di una comunità di circa 2.000 persone. Ci riceve nella sua corte, il cortile della sua casa di Kumasi, predisposto con un trono ed alcune sedie. Esce dall'abitazione vestito con gli abiti della festa, ricoperto di anelli e monili d'oro e con una specie di corona, a significare il suo alto lignaggio. È preceduto da due ragazzi che portano due spade incrociate per il manico affinacato da un consigliere, che reca un bastone rituale con l'effigie del suo simbolo, un leone, e seguito dal portatore di parasole.  Noi gli offriamo della grappa e il suo consigliere esegue un rituale propiziatorio e di saluto allo stesso tempo che inizierà la cerimonia di udienza. Espletate queste formalità il nostro portatore di parola ci fa da tramite perchè, visto il suo lignaggio, non ci è permesso parlargli direttamente. Molto intelligentemente inizia a spiegarci gli usi e costumi del suo popolo, il significato dei simboli che portaaddosso in modo da esaudire già  parecchie nostre curiosotà. Ma le domande non mancano. L'udienza dura un'ora e mezza poi salutiamo il nostro gentile ospite e ci dirigiamo verso il Palazzo Reale, nella sua sezione adibita a museo. Al nostro arrivo riusciamo anche a scorgere il re Osei Tuti II che, con la sua corte, sta uscendo dal palazzo. Il museo, 10 ghana cidis l'ingresso, non contiene niente di particolare è anche un po' kitsch ma serve per capire meglio questo popolo. Tra l'altro: i pezzi esposti, non sono "solo" pezzi da museo, ma tuttora utilizzati in occasione delle feste tradizionali
Lasciamo l'interno e i paesi ashanti per dirigerci verso la costa. La strada è buona la foresta che attraversiamo verde e rigogliosa. Ci fermiamo un paio di volte per vedere alcuni alberi di cacao e una ''distillerià' di grappa di palma. Ottenuta dal vino di palma che esce spontaneamente, dopo aver inciso la corteccia di questo grande e generoso albero. Arrivamo, alla splendida spiaggia dell'Anumabu beach resot nel tardo pomeriggio giusto per bagnarci un po' in questo oceano molto agitato e pericoloso per la balneazione. L'hotel è il tipico resort sulla spiaggia con bungalow, nascosti tra le palme. Le stanze sono decisamente ampie anche se spartane. Bagno decoroso con il minimo indispensabile. Non ho idea dei costi a notte. Cena a buffet abbastanza varia e buona.
C'è un'usanza strana, tra le tante, in Ghana che vuole che chi ha fatto fortuna, è diventato ricco,  torni al proprio villaggio e costruisca una bella casa. Grande e bella in proporzione alla ricchezza accumulata. Ma non deve necessariamente abitarla. E cosi' lungo le strade, attraversando parecchi villaggi, si scorgono numerose belle abitazioni in muratura completamente abbandonate
g.11: Anomabu
Dopo colazione, a buffet, partiamo con dei taxi, anzichè col nostro bus a causa di un malore dell'autista, alla volta di Elmina: nome legato alla storia dell'Africa, ma anche alla storia di tutta l'umanità. Nel 1482 Cristoforo Colombo e Bartolomeo Diaz arrivarono qui con una dozzina di caravelle per costruire un castello sotto l'autorità portoghese. I luoghi scelti erano legati alla possibilità di sfruttamento d'oro. Ecco l'inizio della storia d'Elmina: un castello, un porto, un villaggio, da cinque secoli in contatto con le popolazioni europee. Il castello che la domina è il risultato dei lavori realizzati da Portoghesi, Olandesi, Inglesi e autorità locali. Nel corso della sua storia è stato utilizzato come magazzino d'oro, d'avorio, di legno pregiato, ma anche di schiavi. Oggi è Patrimonio dell'Umanità.
La città d'Elmina è un tipico porto di pesca con centinaia di grandi piroghe colorate che tutti i giorni affrontano l'oceano. L'entrata al mercato del pesce, decisamente grande e molto affollato, è a pagamento. Pochi centesimi di ghana. Le varietà di pesce esposto è molto varia ma le donne, che li commerciano, non amano che vengano fotografati e questo è motivo di qualche piccola discussione. I vicoli di quest'antico villaggio di pescatori ci faranno respirare un'atmosfera vivace e fuori del tempo. Vecchie costruzioni portoghesi, oggi abitate da dei locali, sorgono a fianco  dei  templi delle "compagnie asafo", in cui i guerrieri depositavano offerte votive.
Nel pomeriggio un piccolo gruppo decide di andare a visitare Cape Cost, cittadina con un suo forte ed un museo sulla tratta degli schiavi. Altri, come me, preferiscono oziare sdraiati sulla spiaggia guardando l'oceano.
g.12: Anomabu - Accra/Lome out
Ultimo giorno di tour. Si parte alla volta di Accra. Circa 150 km di strada asfaltata ci separano dalla caotica capitale del Ghana.
Interessante città africana, in rapida evoluzione, Accra ha saputo conservare un'identità, che si riflette nei quartieri moderni, come anche in quelli vecchi, dove si moltiplicano le attività tradizionali. Il traffico è molto intenso. Ci mettiamo più tempo  ad attraversare la città che a percorrere la distana da Anomabu ad Accra. Diversamente da Lomè il cui traffico è caratterizzato dai motorini, Accra è invasa dalla auto e ci si muove a passo d'uomo.
I verdeggianti quartieri amministrativi, composti da eleganti ville della prima metà del Novecento, ci ricordano che questa fu la più prosperosa delle colonie britanniche d' Africa Occidentale.
Di fronte all'oceano si organizza la vita del quartiere indigeno:James Town,  la zona di Ogro Road, Wato ed il mercato del pesce (la vecchia Accra fra Ussher Town e James Town). Un villaggio circondato da una città! Qui le attività economiche seguono criteri ben diversi da quelli che governano la city, distante solamente qualche centinaio di metri.
Nel quartiere di James Town visitiamo le vecchie mura di un forte portoghese che si affaccia sul'oceano, ormai utilizzate dai locali come abitazione. Li' vicino un gruppo di donne affumica del pesce su enormi bidoni di ferro trasformati in forni, che poi venderà al mercato.
Divertente la visita ai fabbricanti di sarcofagi, dalle forme "fantasy". Con estro escono fuori dalle loro mani bare a forma di frutti, pesci, aerei, animali... Questi prodotti potrebbero far bella figura in qualsiasi centro d'arte moderna.
A conclusione della giornata e del nostro tour, dopo aver pranzato al self service del Teatro nazionale, bell’ edificio moderno dalle forme arrotondate, visitiamo il Museo Nazionale, realizzato per comparare l'arte tradizionale del Ghana con quella dell'intero continente africano e per lo sviluppo della produzione artistica moderna., che raccoglie un po' tutto quello che abbiamo visto durante questo viaggio (10 ghana a testa). Salutati gli altri componenti del gruppo raagiungiamo il nostro hotel, Afia Beach, un bell'albergo sul mare, che non è per nulla sfruttato, con stanza spaziosa, tv, frigobar vuoto, bel balcone con scaletta per l'accesso alla spiaggia, ventilatorene aria condizionata, un sacco di asciugamani! 70 euro a notte con colazione continentale.
Per cena decidiamo, con un'amica del gruppo, di provare la pizza della pizzeria Mamma mia segnalata dala guida. Dopo aver contrattato il taxi' 5 ghana, la corsa, arriviamo in una zona, del quartiere Osu, ricca di ristoranti, negozi di tipo occidentale gelaterie, banche e bar. Un altro mondo rispetto a quello visto nel pomeriggio. Il ristorante è pieno di gente, occidentali e non, è all'interno di un cortile con dei alcuni alberi ed un grande forno a legna, c'è anche una parte in muratura con l'aria condizionata ma al suo interno fa un freddo terribile. Il menu delle pizze è vario, ma i prezzi son alti, dai 23 ghana per la margherita ai 30 della supreme, 15 euro! Preparano anche piatti di pastà 20 ghana. Solo la birra ha gli stessi prezzi pagati in precedenza 4 ghana la bottiglia da 66 di Goulder, Le nostre pizze 4 stagioni e supreme sono veramente molto buone. Sottili e croccanti, ben cotte e molto ben farcite. Il conto è un po' salato per i canoni di questo paese ma ne valeva la pena. Ricontrattiamo con un altro taxi, sempre 5 ghana, per tornare in hotel.
Ultimo giorno di vacanza! Lo staff di Transafrica, puntuale alle 7 viene a prenderci all'Afia Beach per darci un passaggio fino a Lomè, in Togo, 200 km circa,da cui ripartireno alla volta di Parigi. Riatraversiamo parte di Accra pernpoi immetterci nell'autostrada verso il Togo. Sul nostro cammino il paesaggio varia dai campi coltivati alla savana brulla. Attraversiamo il delta del fiume Volta, molto grande e carico d'acqua. Le formalità alla frontiera sono veloci, salutiamo e ringraziamo cosi'gli  amici di Transafrica e da un taxi, 2000 cfa, ci facciamo portare all'hotel Napolen, quello utilizzato i primi giorni, dove prendiamo una stanza in day use per 10.000 cfa. Lasciati i bagagli ci dirigiamo verso il gran marchè di Lomè per fare gli ultimi acquisti ed un'abbondante merenda cinoria a base si stinco e mega bistecca al solito Bena grill. Nel tardo pomeriggio rientro in hotel per rapida doccia e cambi d'abiti, purtroppo, in vista del volo di ritorno.
Il viaggio raccontato da Ricky.


Arriviamo, con un volo Royal Air Maroc (650 euro) a Ougadougou, capitale del Burkina Faso in piena notte, ore 1.30 e ci aspetta la prima sorpresa dell’organizzazione africana; non arrivano i nostri bagagli e quelli di una decina d’altre persone, rimasti probabilmente a Casablanca o scaricati erroneamente nello scalo in Niger. Rimaniamo fino alle 4.00 per il disbrigo delle formalità di denuncia e con l’amaro in bocca quando ci annunciano che il prossimo volo che li potrebbe consegnare arriva Venerdì!! Ma che bello ! Rimaniamo disorientati, sul da farsi, e per fortuna riusciamo almeno a cambiare i soldi nel baracchino con postazione internet e telefoni, di fronte all’uscita (cambio a 645, anziché 650). Ormai sono le 5.30, quindi attendiamo l’alba per decidere il da farsi. Quest’imprevisto ci obbliga ad un radicale cambiamento del nostro itinerario, che per fortuna si riesce ad adattare alla nuova situazione. Chiacchierando con alcune persone (che da qui fino alla fine del viaggio si avranno sempre intorno, pronti come avvoltoi per assalire la propria preda e riuscire a spennarla il più possibile), uno si offre per 1000 Cfa, di accompagnarci in centro città per fare gli acquisti di prima necessità (sandali, magliette etc) ed in seguito alla compagnia degli autobus per raggiungere la nostra prima meta, che sarà PO verso sud, quasi al confine con il Ghana per cercare di raggiungere subito il villaggio di TIEBELE, 30 km ad est. Ho letto che la strada per PO è considerata pericolosa a causa degli innumerevoli assalti perpetrati negli ultimi tempi, ma percorsa di giorno è, per ora, tranquilla. Perdiamo l’autobus delle 7.00, ed il prossimo è alle 12.30, che gioia ! E’ l’inizio delle interminabili attese che contraddistinguono i paesi africani ! Ne approfittiamo per fare un giretto, giacché siamo in pieno centro. Come prima impressione, più che una capitale sembra di essere in un paese di provincia, sporcizia dappertutto, confusione, merci buttate a destra e sinistra, per non parlare delle “stazioni degli autobus”, davvero simili più a vecchi depositi a cielo aperto abbandonati che altro; diciamo pure impossibili da localizzare senza l’aiuto di un nativo! Finalmente si parte (biglietto andata e ritorno 3500 Cfa). Sarebbe stato meglio collocarsi sulla fila a sinistra all’ombra, ma ovviamente noi siamo a destra !! Quando si comprano i biglietti sono richiesti i nomi; in pratica scrivono una lista e si viene chiamati a salire in ordine d’arrivo, con la possibilità di scegliersi i posti “migliori”, ma spesso vige la legge del più “furbo”; si può provare ad occupare i posti considerati appetibili appoggiando dal finestrino qualcosa sui sedili, poiché in genere fino a pochi minuti prima della partenza, non fanno, comunque, salire nessuno. Arriviamo a PO, un piccolo e sgangheratissimo, ammasso di costruzioni, dopo tre lunghissime ore. Qui cerchiamo un mezzo per andare a TIEBELE, ma dopo molti dubbi con il presupposto dell’ovvia fregatura, ci dobbiamo arrendere all’evidenza che in africa i mezzi di trasporto sono pochissimi, e se partono (perché partono solo quando sono pieni, anzi, strapieni) lo fanno solo nelle prime ore del mattino e del pomeriggio; poi è desolazione! In seguito veniamo a conoscenza che i taxi-brousse, scassatissimi Peugeot 505 station wagon, partono verso le 10 del mattino per Tiebele, e da lì alle 13 fanno ritorno a Po, tariffa ufficiale 500 Cfa per tratta. Veniamo come al solito, abbordati da un tipo che ci propone di portarci in macchina, convincendoci con il fatto che si fermerebbe anche lui a dormire da “famigliari” al villaggio. Premesso che, per la visita, sono sufficienti un paio d’ore, l’occasione in ogni caso di dormire in un posto “caratteristico” c’invoglia, e quindi contrattiamo l’andata (ed il ritorno per il mattino successivo alle ore 12) per 8000 Cfa. (anziché i 15000 inizialmente richiesti). Come poi ci rendiamo conto per tutto il resto del viaggio, si contratta con una prima persona (presubilmente il procacciatore di clienti), si discute con una seconda (il vero proprietario), e si parte con una terza (il semplice guidatore). Dopo 45 minuti, arriviamo. Si viene subito avvolti da un nugolo di ragazzi che non esitano a fronteggiarsi tra di loro arrivando perfino alle mani per “accaparrarsi” il cliente. Inizialmente possono sembrare tutti simpatici, ma ben presto una volta scelti potrebbero rilevare la loro vera personalità, cercando di imporsi; siate inflessibili, pagate SEMPRE alla fine e ricordategli che i capi siete voi, se vogliono avere il loro denaro ! . Quindi non esitate a testare la loro affidabilità, chiacchierandoci inizialmente e ricordate di mettere TUTTO per iscritto PRIMA dell’inizio di ogni servizio, facendolo firmare (assicuratevi naturalmente che sappia leggere e scrivere !). Indispensabile, quindi, carta e penna, e conoscenza di qualche parola di francese ! Sappiate che un compenso adeguato è di 1000-2000 Cfa al giorno, per una guida improvvisata, 3000-4000 per una guida seria e professionale che sappia bene l’inglese, a prescindere dal numero di persone. E’ indispensabile che la vostra guida abbia ben chiaro che tra i suoi compiti c’è anche quello di tenere alla larga gli scocciatori. Chiunque si aspetta una ricompensa, detta impropriamente“cadeau”, regalo, anche per il più piccolo dei favori; cercate di evitare nel modo più assoluto di dare soldi e di elargire qualsiasi cosa a sproposito, senza che vi sia reso un servizio per piccolo che possa essere. Solo nel caso siate particolarmente grati, “donate”, 1-2 sigarette, una penna, un accendino, o qualsiasi altra “stupidate” abbiate a casa; anziché buttarle portatele con voi che vi torneranno molto utili ! Se ciò che donate vi sembra sufficiente per il servizio reso, ma la persona chiede di più, provate, sorridendo e dimostrandovi un poco offesi, a richiedere il dono indietro dato che non vi sembra apprezzato. Di solito farà desistere dal proseguire con ulteriori richieste.
Ci sistemiamo all’Hotel KUNKOLO (5000 Cfa per due persone), una carinissima e spartana sistemazione in una struttura, la stessa pulita, creata a somiglianza della corte reale di Tiebele, situata a quasi 1km dal “cuore” del nuovo villaggio, gestita, da un più o meno simpatico ragazzo rasta francese.. E’ senza luce e con bagno africano, vale a dire all’aperto; consiste in un muro su tre lati (per avere un po’ di privacy), e di un buco sul “pavimento” collegato ad una specie di “cisterna” scavata direttamente sottoterra, dove finiscono tutti i vostri “ricordini” (e dove spesso ci sono migliaia di mosche) e si ha a disposizione un annaffiatore per dare una pulita alla bene e meglio. La “zona doccia” è simile, ma si ha a disposizione un secchio d’acqua, ed a volte, una piccola ciotola per sciacquarsi . Portatevi la carta igienica da casa! Avrete difficoltà a trovarla!
Si dorme in “capanne” rotonde in muratura, provviste solo del letto. Verificate che la porta si chiuda dall’interno! E mi raccomando usate SEMPRE la zanzariera. Non si scherza con la malaria.
Dopo che “finalmente” un ragazzetto è riuscito a conquistare la nostra fiducia, grazie anche al fatto d’essere simpatico, parlare inglese e di avere il tesserino ufficiale di guida, ci sistemiamo, e dopo una veloce “doccia”, ci facciamo portare “in centro” dove consumiamo quello che sarà uno dei pochi piatti disponibili in terra d’africa. In pratica, se non si è in grandi città e si vuole mangiare in economia (300-700 cfa), gli unici piatti disponibili sono: spaghetti, riso e cous-cous, sempre con lo stesso condimento a base di una specie di salsa al pomodoro. L’unica variante sono i “petit-pois” (700cfa), ossia piselli, non sempre conditi con la suddetta salsa, e pollo, che essendo ruspante ha poca carne ed è molto stopposa. Il pesce, viste le pessime condizioni igieniche, non abbiamo mai avuto il coraggio di provarlo!
Alla sera non c’è assolutamente niente da fare, se non andare a mangiare qualcosa e bere una birra.
Portatevi una pila potente per illuminare la stradina sterrata (seminata anche da “ricordini” degli animali che scorazzano liberi ovunque) per raggiungere il centro e tornare, e tenetela SEMPRE a portata di mano. Questo vale, anche per tutto il resto del viaggio!

MARTEDI 25 OTTOBRE       TIEBELE - OUGADOUGOU
Sveglia poco dopo l’alba, che in questo periodo è alle 5.30. Appuntamento con la nostra guida, e già sorgono le prime discussioni in terra d’africa. L’autista della nostra macchina, nonostante l’avessimo salutato la sera precedente rimanendo d’accordo che ci saremmo incontrati alle 12.00, dopo la visita alla corte reale, vero ed unico motivo per spingersi fino a qui, si presenta in albergo dicendo che dobbiamo ripartire subito, e che gli accordi erano quelli ! S.P.Q.A.! (Sono pazzi questi africani)! In realtà ci provano. Sempre. Per fortuna che dovevamo ancora pagare, altrimenti non avremmo avuto scampo ! Era la sua parola contro la nostra. Nella discussione, durata più di un’ora, sono state coinvolte anche la guida ed il proprietario dell’albergo, che alle nostre minacce di riportare tutto su internet e far crollare la presenza dei turisti in loco, ha cercato di intercedere per noi, anche se la nostra vittoria è dipesa solo dal fatto che se non avesse rispettato gli accordi, il “caro” autista non avrebbe visto i soldi. In ogni caso sono molto bravi ad agitarsi ed ad alzare la voce per incutere timore negli sprovveduti turisti i quali il più delle volte sembra che cedano alle pressioni. Mi raccomando ancora, scrivete sempre tutto, fate firmare (ed ancora meglio fatevi mostrare i documenti e trascrivete tutti i dati) e pagate alla fine; non è una garanzia al 100%, ma in ogni modo mooooolto utile.
Si riesce quindi, a compiere questa sospirata visita, che si rileva abbastanza interessante, sia dal punto di vista dell’architettura che dell’originalità. Gruppi (attaccati uno all’altro, secondo la grandezza della famiglia) di costruzioni rotonde in argilla, o fango secco che dir si voglia, con molte decorazioni, probabilmente mantenute solo per attirare i turisti, ma comunque carine.  Nel corso della visita ed all’uscita sarete avvicinati da una moltitudine d’individui che girano con un quaderno, per riscuotere le “donazioni” dei turisti. La nostra diffidenza ha evitato di cadere in queste “trappole”, perché dal modo di agire di queste persone sembra quasi che sia un pagamento dovuto per questa o quest’altra associazione. L’unica associazione è quella di questi furboni che si andranno a bere in birra i vostri soldi! !! L’unica tassa dovuta è quella per la visita del villaggio per il quale vi dovranno rilasciare la ricevuta ufficiale con la dicitura “ticket de visite touristiques Cours Royal de Tiebele” (1500 Cfa cad.). I libri dicono che tale tassa include anche il compenso della guida, ma la stessa ci ha spergiurato che non è cosi ed ha pianto in cinese antico per meglio convincerci. Alla fine della visita, abbiamo salutato la nostra guida, e nel dubbio, gli abbiamo detto chiaramente che non credevamo a quello che diceva, ma che in ogni caso data la sua estrema gentilezza, gli lasciavamo 2000 Cfa. Apriti cielo ! Un’altra ora a discutere. Si è offeso, adirato, affermando che il compenso era una miseria e che potevamo anche tenercelo ! Ebbene è bastato convincerlo che avremmo fatto così e ce ne saremmo andati, per convincerlo a ritenere il compenso adeguato. Certo, specialmente all’inizio, il dubbio d’essere noi dalla parte del torto un poco l’avevamo, ma come abbiamo imparato in seguito non era per niente così. Anzi, altre guide, che erano state più disponibili in termini di tempo, hanno fatto i salti di gioia per un eguale compenso !
Insomma, andiamo comunque via, con l’amaro in bocca per queste continue discussioni. Meno male che, il nostro autista, ha messo nel cassetto la sua faccia da cattivo ed ha iniziato ad accarezzarci il pelo, nella speranza di scroccare qualcos’altro (effettivamente, viste le insistenze, ma questa volta sul giocoso, è riuscito a strapparci 2-3 sigarette ed altri 500cfa). Torniamo a PO, e senza altri problemi prendiamo il bus che ci riporta ad Ougadougou. Arriviamo per le 16.00, con l’intento di prendere subito un altro bus per giungere a Kaya, località sulla strada per andare a Gorom-Gorom, poiché la capitale non offre assolutamente nulla (ma in seguito vedremo che Kaya è un ammasso polveroso di baracche dove c’è ancora meno!), ma dopo un inutile girovagare da una stazione all’altra della città ci arrendiamo al fatto di dover rimanere qui. Per fortuna troviamo un accogliente albergo “Le Pavillion Verte” (dai 7500 ai 15000 cfa, camere essenziali, ma c’è un bel giardinetto, la possibilità di fare il bucato, ed un guardiano all’ingresso che tiene lontano tutti gli scocciatori), proprio a pochi passi dalla “stazione” della Sogebaf (soprannominata “Petit sogebaf”, situata a nord, dopo la ferrovia; la sede principale detta invece “grande sogebaf” è a sud-ovest; compagnia di autobus scassati, con la quale l’indomani mattina contiamo di raggiungere BANI (5000 cfa) ed in seguito DORI, verso il nord-est.

MERCOLEDI 26 OTTOBRE OUGAGADOUGOU - BANI - DORI
Partiamo con il bus delle 7.00 (c’è un altro bus Sogebaf alle 14.00, ed uno della Stmb alle 15.00), verso DORI da dove domattina contiamo di raggiungere il famoso mercato del Giovedì di Gorom-Gorom. La strada dopo Kaya, diventa tutta sterrata, ma ci sono in questo periodo i lavori per asfaltarla. Decidiamo di fare una tappa a BANI, villaggio dove ci sarebbero le famose “sette moschee”, dove arriviamo dopo 5 ore di duro viaggio. Ci aspettavamo un paesino, invece ci ritroviamo in un villaggio con case in fango secco. Cerchiamo di sbrigarcela da soli per visitare le moschee, ma dopo neanche 50 metri veniamo circondati da una moltitudine di ragazzini, che ci fanno intendere che qualcuno ci deve accompagnare. Ekke palle ! Va bhe, alla fine un ragazzo che gira con il solito quaderno delle “donazioni” e qualche foto consumata, ci fa capitolare, anche perché la strada passa proprio in mezzo alle abitazioni, e sarebbe poco opportuno infilarsi per sbaglio a casa di qualcuno. La visita, stranamente, NON è a pagamento, ma si è invitati a fare una donazione. La visita delle moschee, per lo più in rovina, sembra a causa della siccità la quale non ha permesso di ricavare il fango necessario per ricostruirle, è molto deludente e quasi non valeva la pena di fermarsi, a meno di non essere indipendenti con i trasporti. In poco più di 30 minuti, si esaurisce il giro e veniamo fatti accomodare per terra su delle stuoie nel cortile di quello che dovrebbe essere l’unico “campment” del posto. Sono stati molto gentili e premurosi con noi, ed al momento della donazione avendo solo 2000 cfa come taglio più piccolo, lasciamolo quello, cifra sicuramente esagerata (500 cfa, erano sufficienti), ma da come si andrà a prospettare la giornata, ci siamo assicurati di essere “coccolati” tutto il giorno. Da quanto dettoci, il successivo bus per arrivare a Dori, doveva infatti passare dopo un’ora (ore 14.00), ma attendiamo fino al tramonto e non si vede nulla all’orizzonte. Ad averlo saputo avremmo potuto scorazzare per il villaggio e poi provare ad attendere sulla pista e chiedere un passaggio, anche a pagamento, a qualcuno, cosa che al calare delle tenebre abbiamo fatto; o meglio alcune persone del villaggio l’hanno chiesto per noi, leggendoci negli occhi, la nostra crescente preoccupazione al solo fatto di rimanere inchiodati in quel posto per la notte! Ebbene, concordiamo il prezzo di 1000 cfa, a persona, con un truck diretto a Dori. Come al solito chi ha fatto da intermediario, ha chiesto di consegnare a lui i soldi (per poi probabilmente svignarsela), ma siamo stati irremovibili che avremmo pagato solo all’arrivo, ed esclusivamente all’autista. Con quest’inconsueto mezzo, ed un po’ preoccupati sulla rischiosità della situazione, arriviamo dopo due traballanti ore, senza nessun problema, a destinazione.  Il truck deve fermarsi in periferia, ma l’autista gentilissimo, ci accompagna fino all’Auberge Populaire (6000, struttura accettabile, con camere in bungalow). Il paese è avvolto nelle tenebre a parte la zona “centrale” (per tale motivo, è incredibile come a volte si hanno persone molto vicine, ma non ve n’accorgete; certo, sono nere!). Alla reception veniamo subito agganciati da due ragazzi, pseudo guide, che ci accompagnano addirittura alla camera, ed in seguito a mangiare, uno dei quali il famoso “rasta man”, un ragazzo che parla molto bene inglese e sembra più un nativo della Giamaica, che fa dei bei discorsi sulla pace e l’onestà (ma non abbassate mai la guardia!). In ogni caso si rileva molto discreto, ha provato a rifilarci un tour in macchina, ma senza essere invadente, ed ha mollato subito il colpo quando ha capito che non eravamo interessati. Nonostante ciò, il mattino successivo è venuto a prenderci all’albergo e si è preoccupato di accompagnarci al minibus in partenza per Gorom-Gorom, di assicurarci un posto a sedere e di espletare le formalità del pagamento E’ probabile che abbia fatto la cresta sul biglietto (2000 cfa), ma è sicuro che ci avrebbe provato qualcun altro (senza averci reso alcun servizio!). A Dori, c’è addirittura un “internet café”!

GIOVEDI 27 OTTOBRE       DORI - mercato settimanale di GOROM-GOROM - DORI
Dopo due ore di viaggio, si arriva e si è “invitati” subito a recarsi al posto di polizia a pagare la tassa turistica di 1000 cfa; se riuscite ad evitarla, nessuno in paese vi chiederà nulla.
Appena usciti dal posto di polizia, veniamo, come al solito, abbordati da un ragazzo che iniziando a chiacchierare ci fa subito da guida. Cerchiamo di liberarcene, ma niente, ci rimane incollato. Ennesima rassegnazione; ma a questo punto devo convenire che è sempre meglio accettare questa situazione come dato di fatto e non farsi troppe paranoie. Indubbiamente una guida spesso non è indispensabile, ma può rilevarsi molto utile per girare senza nuovi fastidi, in modo rapido e sicuro, e per individuare e chiedere tutto quello che volete. Visitiamo subito la zona del mercato del bestiame, molto interessante e colorata. Prestate attenzione agli animali che a volte si ribellano ed iniziano a correre a destra e manca nella vana ricerca di una via di fuga! Proseguiamo con la visita di una capanna tuareg (visita sicuramente impossibile senza una guida!), dove una donna intenta a preparare il burro, ci fa accomodare sulle stuoie e riusciamo a fare qualche bella foto senza problemi. Naturalmente prima di andarcene ci è chiesto se possiamo “contribuire” con un aiuto comprandole qualcosa da mangiare. Andiamo quindi a prendere un sacco di miglio e glielo portiamo (1000 cfa). Il miglio in questa zona d’africa è come il grano da noi.
Molto buone come colazione, le frittelle di miglio, che al mattino si possono trovare quasi ovunque, vendute dalle donne in giro per le strade. Non confondetele con le frittelle di formaggio di capra (di colore più scuro, sul marroncino), a mio avviso orribili! In ogni caso, costano poco, quindi sbizzarritevi pure a provarle. Potete anche chiedere di assaggiarne solo una (che in ogni caso dovrete pagare!), e dato che la qualità e bontà varia molto, è sempre meglio farlo, prima di prendere molte. Per quelle più grandi il prezzo è 25 cfa , quelle piccole in genere costano 100 cfa per 6-8 pezzi.
Il mercato è un crogiuolo d’etnie: tuareg, mossi, bambara che arrivano anche dai paesi immediatamente confinanti, in altre parole Mali e Niger. Si vedono tuareg agghindati a festa arrivare in cammello; uno spettacolo! Davvero tutto affascinante, un caleidoscopio di colori, spezie, lastre di sale che arrivano dalle miniere di Taoudenni, in pieno deserto ad oltre 500 km a nord di Timbuktu, in Mali. Il mercato, per ora, non è assolutamente turistico, quindi si vendono merci d’uso quotidiano, di nessun interesse per noi, ma gli amanti delle spezie, qui possono fare festa e portarsi con quattro soldi un alternativo souvenir a casa.  Solo 2-3 banchi vendono statuine ed altri oggetti per turisti, e ci sono sembrati piuttosto cari, ma d’altra parte in Burkina, il turismo individuale è raro, ed i pochi turisti che vi arrivano sono quelli danarosi che partecipano ad un tour organizzato. In giro potete scatenarvi con le foto, ma con tatto e furbizia. Queste popolazioni non amano essere fotografate o riprese (salvo che non le pagate o date qualcosa; ma forse proprio per questo non vogliono essere fotografate “gratis”, proprio perché hanno capito che ci sono molti fessi che sono disposti a farlo, quindi evitate di aggregarvi a questa categoria di persone!)
Gironzoliamo fino alle 14.00 con una pausa per pranzare. La nostra guida prima di lasciarci ci accompagna al taxi-brousse per rientrare a Dori e che, a detta di quello che sembra l’autista, dovrebbe partire fra poco, e per questo paghiamo subito il richiesto (1500 cfa) Ebbene, aspettiamo due ore e poi veniamo invece dirottati, invece, su un furgoncino, dove ci accatastano come bestie insieme ad altre 20 persone, ma solo per le 18.00 riusciamo a partire ! Viaggio stremante, anche se il peggio dovrà ancora arrivare!
Arrivo, doccia, cena, e via a dormire.

VENERDI 28 OTTOBRE                  DORI - OUAGADOUGOU
Sveglia come sempre poco dopo l’alba, e ci accorgiamo che sui tetti dei bungalow e dintorni, sono appollaiati una moltitudine di condor !! Diamo già questa sensazione di cedimento ?
Viaggio di ritorno a Ougadougou (5000 cfa) infinito, 8 ore di sobbalzi, caldo e guida fuori pista (siccome c’erano dei tratti bloccati per i lavori della nuova strada, l’autista per non aspettare si buttava allegramente in mezzo alla campagna, inventandosi una nuova strada!). Arriviamo alla “grande” Sogebaf. Taxi per l’aeroporto (1000cfa), nella speranza di poter “riabbracciare” i nostri bagagli. Arriviamo e spieghiamo subito ad un addetto alla sicurezza, cosa dovevamo fare, ma ci viene detto che l’addetto all’ufficio non c’è ed arriva alle 18.00 ossia fra tre ore!! Ma cavolacci, oggi che avevamo tempo per rilassarci, siamo bloccati qui! Ne approfittiamo per cambiare ancora un po’ di soldi, dato che sembra in Mali sia più difficile e meno conveniente; passa meno di un’ora ma il dubbio che ci abbiano detto il giusto mi ossessiona; approfitto di un attimo di distrazione del sorvegliante, per infilarmi dentro all’hall di arrivo dell’aeroporto, e con mia grande gioia, ma sdegno per l’inaffidabilità delle persone, trovo l’ufficio bagagli aperto, ed in men che non si dica riabbracciamo le nostre borse, sognando già tutte le comodità che in questi giorni abbiamo dovuto fare a meno!Yeahh!!. Riusciamo a dribblare l’intermediario per il taxi, facendo finta di allontanarci e poi tornando sui nostri passi in modo da “cadere” direttamente fra le braccia dell’autista e torniamo (1500cfa) a “Le pavillion verte”. L’albergo è però al completo, e ci fanno accompagnare ad un albergo vicino, proprio attaccato alla petit Sogebaf, “Le Dapoore” (9000cfa però con bagno in camera). Al mattino presto abbiamo il bus che ci porterà a Ouahigouya (3000cfa) prima, e dopo un cambio, a Koro (Mali). Preoccupati dato che dobbiamo muoverci per le 5.00, cerchiamo di metterci subito d’accordo con un taxi, ma ci chiedono cifre folli (4000 cfa). Alla reception dell’albergo, ci assicurano che non c’è, invece, assolutamente problema a trovare un taxi alla mattina presto.

SABATO   29 OTTOBRE      OUAGADOUGOU - OUAHIGOUYA – KORO (Mali)
In effetti, basta che usciamo dall’albergo al mattino, e subito già le poche persone in giro, iniziano a sbracciare per “aiutarci” a trovare un taxi, cosa del tutto inutile visto che, per fortuna, subito uno appare alla nostra vista. Raggiungiamo (1000cfa) ancora la grande Sogebaf, ed al momento di caricare i bagagli, provano anche con noi a chiederci i soldi per farlo. E’ bastato fargli capire che andavamo a parlare con qualcuno e che sapevamo benissimo di quel trucco, per far desistere da ulteriori insistenze. C’era già molta gente, nonostante l’ora 5.15, e molti erano rimasti la notte a dormire per terra. Alle 6.00 partenza, ed arriviamo dopo un tranquillo viaggio di due ore a Ouahigouya. Quì ancora problemi; ci fanno aspettare altre due ore, non sapendoci dire dov’è il bus per proseguire, dicono di aspettare, ma alla fine il bus non c’è. Dobbiamo cercare un mezzo alternativo e noi, insieme con altre 6-7 persone veniamo accompagnati ad un taxi-brousse. Ma non si partirà prima delle 16.00, finché non arriverà un numero sufficiente di persone per riempire il mezzo (3000cfa)
Nella “disavventura” conosciamo Santiago, un ragazzo spagnolo che vive in Belgio e per ciò parla bene francese. Sembra che faccia il nostro stesso itinerario, e rimarrà con noi fino alla fine del viaggio. Arriviamo finalmente a Koro, in Mali, che ormai è buio pesto, ed il paesino è totalmente privo d’illuminazione. Per fortuna l’autista ci accompagna nel campment. Il racconto prosegue nel diario di viaggio dedicato al Mali (“Mali – Gioie e dolori”)
----------------------------------------------------------------------------
MERCOLEDI 9 NOVEMBRE           BOBO-DIOULASSO
Rientriamo in Burkina, dopo la deviazione in Mali, ed arriviamo finalmente dopo un viaggio veramente estenuante e terribile a Bobo-Dioulasso. Prendiamo un taxi per andare in albergo e qui cercano di fregarci; ci chiedono subito 500cfa, cifra che ci sembra subito ragionevole, ma all’arrivo ci viene spiegato che era sott’inteso 500 cfa a testa!
Un’interminabile discussione si accende, spenta, per fortuna, da un ragazzo che prende le nostre difese affermando che la tariffa giusta è 200cfa a testa. Paghiamo quindi 600cfa. Lo stesso ragazzo si propone subito come guida, e visto “l’aiuto” che ci ha offerto, lo prendiamo in considerazione.
Sistemati i bagagli nell’hotel “Le Cocotier” (6500cfa), centralissimo, concordiamo l’escursione in macchina per il giorno seguente per i villaggi di KORO e KOUMI e visita della città a piedi, con la nostra guida per 18000cfa (per tre persone). Stanchi, adirati ed esausti e in ogni modo poiché avendo saltato la tappa di Timbuktu, in Mali, avanzano 3-4 giorni nei quali non sapremmo cosa fare, io e Matteo decidiamo di provare ad anticipare la nostra partenza. Con nostra gran fortuna la Royal Air Maroc ci ha cancellato il nostro volo di rientro del 21, quindi senza esitare e soprattutto senza penali, prendiamo, è il caso di dirlo, al volo, l’offerta di rientrare il 18 ! Rallegrati da questa buona notizia, ci abbandoniamo ad un meritato pranzo; passiamo la giornata a rimetterci in sesto dopo lo spossante viaggio, ed a fare un po’ di bucato.

GIOVEDI 10 NOVEMBRE               escursione a KORO e KOUMI
Partenza con la nostra guida, in macchina verso il villaggio di KORO. Arrivati, dopo una sosta per cambiare un pneumatico forato (assicuratevi sempre che abbiano la ruota di scorta!!), dobbiamo pagare la tassa di 1000cfa. Il villaggio è deludente; un ammasso di costruzioni con materiali moderni e lamiera. Sembra più una favelas. C’è pochissima gente, con abiti tracciati e per nulla tipici. Bastano 15 minuti ed andiamo via. Per proseguire per Koumi, si deve ripassare da Bobo, e l’autista vuole approfittarne per far riparare il pneumatico forato, cosa molto intelligente ! N’approfittiamo per fare colazione con il solito the, anche se non troviamo le consuete frittelle ! Nel giro di un’oretta si riparte e si arriva a KOUMI. Anche qui si pagano 1000cfa cad, per la visita, tassa che comunque va allo stato e non al villaggio. C’è una tassa della stessa cifra anche se si vuole fare foto, anche se è molto difficile, perché le persone non vogliono essere riprese, e per fare foto alle costruzioni, è molto probabile che ci sia sempre qualcuno sulla “traiettoria”, rendendo la cosa quasi impossibile se non dopo estenuanti tentativi di farli spostare o di pagarli per la foto. Le case sono un po’ più particolari, fatte in fango essiccato di colore rossastro. La gente non è per niente amichevole e si rivolgono a noi solo per chiedere qualcosa con aggressività.
Anche questo villaggio non ci ha per nulla soddisfatto.
Da andare proprio se non si è avuta, o si avrà la possibilità di andare nei paesi Lobi (Gaoua), vero pezzo forte della visita. Torniamo in città, dopo solo quattro ore, e dopo aver pranzato, continuiamo l’escursione con la nostra guida, a piedi. Dopo aver visitato il mercato centrale, nel quale in seguito a lunghe contrattazioni, facciamo un pò di shopping (coperta matrimoniale “bogolan”  portata via a 15000cfa, dai 25000 richiesti). Sicuramente si poteva scendere ancora, ma mi hanno preso proprio per stanchezza! Prestate attenzione alle dimensioni e non credete a chi dice che non esistono misure più grandi. Eventualmente approfittatene per farvi aggiungere al momento, dato che ci sono anche i sarti, qualche striscia di tessuto.  Nel mercato vedono pochi turisti, e quindi sono tutti molto insistenti per vendervi qualcosa; bhe almeno la concorrenza dovrebbe esserci! I cd musicali sono interessanti; va alla grande la musica della costa d’avorio, molto allegra, da discoteca, ed il genere “zouk”, originario delle Antille francesi, molto sensuale, simile ad una lambada più cadenzata. Si portano via per 800-1000cfa (ovviamente copie!). Il giro prosegue (il tutto a 100 metri dal nostro albergo) alla gran moschea di Bobo, alla quale ci si deve limitare ad un giro perimetrale esterno, poi alla città vecchia, quasi una vera favelas. Si devono pagare anche qui 1000cfa, e si deve avere obbligatoriamente una guida, cosa che mi sembra assolutamente indispensabile, visto il degrado dell’area. Nella zona del “fiume”, ridotto ad una fogna a cielo aperto, la gente si lava, fa il bucato ed i bambini fanno il bagno. Assurdo, ma vero. Usciti dalla zona vecchia, ci sono molti negozietti che vendono maschere ed altro. Andateci da soli! Chiunque farà il possibile per aggregarsi a voi mentre entrate e riscuotere, così, una percentuale sulla vendita. Le maschere sono tante, anche se a mio avviso anche nella capitale ed in Mali, se ne trovano di molto belle. Una bella maschera di circa 30 cm la si può portare via a 5000cfa. E’ quasi il tramonto quando ci separiamo dalla nostra guida e rientriamo in albergo. Una doccia, un po’ di riposo e siamo a cena e proseguiamo in seguito, per andarci a bere una birra, in un posto dietro l’angolo che ha tavolini sul marciapiede e bella musica diffusa. Siamo gli unici turisti, come al solito, e nonostante c’è un grande cartello con scritto il prezzo della birra, tentano di farci pagare di più….ma non ci riescono! Nel frattempo si aggrega a noi un bambino, il quale inizia a snocciolare informazioni sui trucchi per fregare i turisti e ci mette in guardia da un gruppo di ragazzi seduto accanto a noi, il quale ci “invita” a proseguire la serata con loro. Solite tattiche per scroccare una serata a danno dei “tubab”, come vengono chiamati i bianchi in africa nera. Ci mette anche a conoscenza che proprio questa sera, in un locale all’aperto (Le Bambolo, per turisti) c’è un’esibizione di percussioni (jambee) e ci convince ad andarci. Naturalmente lui non è molto diverso dagli altri, e l’unico scopo è quello di farsi offrire la consumazione al locale! (ingresso 600, consumazioni  dai 700 per una birra in su). Lo spettacolo è comunque carino, e ne è valsa la pena. In pratica sarà l’unica sera che si andrà a letto tardissimo; alle 23.30! (in genere per le 20.00, 21.00 sembra già notte fonda e si va a dormire).

VENERDI 11 NOVEMBRE              BOBO – BANFORA
In mattinata bus per Banfora (1300cfa) , dove si arriva in meno di due ore. Scarichiamo i bagagli, in un albergo a 100m dalla fermata del bus, ed iniziamo un giro. Non so se è tutti i giorni, ma è in svolgimento un piccolo ma interessante mercato, nel quale è stato sufficiente chiedere a due ragazzi dove comprare il burro di karite (dopo averlo fatto sciogliere sul calorifero, si può miscelare al 30% con una normalissima crema per le mani, per ottenere una stupenda crema idratante per il corpo! Un kilo 500cfa), per averli incollati per tutto il resto del soggiorno in questo paesino (ma sono molto simpatici). Ci aiutano a contrattare una macchina (5000cfa), per la visita alle cascate di Karfiguela ed al villaggio di Tengrela, abbinato all’omonimo lago dove si dovrebbero avvistare gli ippopotami, e praticamente ci fanno da guide.
Le cascate sono carine, nulla di che (ingresso 1000cfa). All’inizio del sentiero da dove si risalgono le cascate, c’è un grande termitaio. Sosta per godersi l'ambiente, e si riparte per Tengrela. Il lago è deludente (1000cfa). Ci vogliono altri 2000cfa per un giro in barca, ma in questo periodo il lago ha molta acqua e la possibilità di avvistare i sospirati ippopotami è praticamente nulla, e quindi rinunciamo. Solo a fine stagione secca vale la pena provarci. Facciamo una sosta al villaggio e prendiamo una bevanda fresca nel campment gestito da un ragazzo rasta. Il campment è molto carino, spartano come al solito, ma pieno di fascino. Quasi, quasi, valeva la pena di fermarsi per la notte, ma noi dobbiamo rientrare a Banfora. La sera, oltre ad andare a mangiare un boccone non c’è nulla da fare.

SABATO 12 NOVEMBRE                BANFORA- GAOUA
Durante la notte, il nostro compagno di viaggio spagnolo, Santiago, accusa malesseri allo stomaco e rimarrà a letto fino alle 14.00, ora nel quale c’è l’unico bus per Gaoua (il quale, a differenza di quanto scritto sulle guide, percorre ancora la vecchia strada, sterrata e polverosissima).
I due ragazzi ci rimangono appiccicati anche per tutta la mattinata e ci vengono a salutare quando partiamo. Sono gli unici che non ci hanno chiesto nulla, e gli lasciamo come ringraziamento per la loro disponibilità, quello che ci avanza, uno zainetto, un cappellino e delle penne. Avremmo voluto dargli anche un paio di magliette, ma ormai c’eravamo già disfatti di tutto !
Il viaggio per Gaoua si svolge sempre su uno scassatissimo minibus, senza vetri, ma almeno era mezzo vuoto, e quindi è stato “confortevole”. Portatevi delle mascherine per la polvere, e mettetevi sotto un fazzoletto di carta inumidito, il quale dovrete cambiare spesso. Arriverete seppelliti dalla polvere! Riparate tutto quello che potete (specialmente macchine fotografiche e videocamere), in pacchettini a tenuta quasi stagna! Si arriva dopo 5 ore, ormai con il buio. La fermata della compagnia è per fortuna in centro paese (esiste una stazione più grande degli autobus a 3km). Il ragazzo che scarica i bagagli si offre subito per portarci in albergo, cosa che accettiamo di buon grado, vista l’oscurità. Peccato che l’unico alloggio disponibile in paese (gli altri segnati sulle guide, sembrano ormai inesistenti), ha delle camere che a paragone, le celle di una prigione sembrano lussuose. I bagni, inoltre, sono sporchissimi e fanno vomitare. Viste le condizioni di salute anche di Santiago, non ce la sentiamo di fermarci in quest’oscenità. Veniamo quindi subito dirottati su un tizio che metterebbe a disposizione la sua macchina (non esistono taxi ufficiali) per accompagnarci nell’hotel della stazione degli autobus, che pare l’unica alternativa. Dopo aver concordato a fatica 1000 cfa, appena saliamo in macchina, l’autista ci offre una soluzione alternativa, a meno di un km dal paese. E’ un posto che ci viene presentato come la vecchia “base canadese”, la quale ha dei bei miniappartamenti singoli con due stanze, salottino cucinotto, bagno ed aria condizionata! Praticamente il lusso!! Ci facciamo convincere ad andare, e la scelta si rivela azzeccata! L’unica “fregatura” è che c’era stata “venduta” per 5000cfa, mentre l’indomani scopriamo che il vero prezzo è 10000. Ma, in ogni caso, li vale tutti; ci sono due letti matrimoniali ed un divano….quindi si potrebbe dividere il costo anche in 5! Il “taxista” si offre di venirci a riprendere più tardi per accompagnarci in paese a mangiare, aspettarci e riaccompagnarci, dato che in zona non c’è assolutamente nulla (arrivate con l’acqua, almeno!), ma, anche qui, saltano fuori dal nulla, due ragazzi (uno dei quali si chiama justine) i quali si offrono subito per accompagnarci a piedi in paese. Anche loro sono molto simpatici e si guadagnano subito la nostra fiducia. Per arrivare in paese basta percorrere il lungo “viale” di accesso della base, e girare a destra, e sempre tenendo la destra in 15-20 minuti si arriva. Solo pochissimi posti per mangiare sono distinguibili. Altri sono nascosti e senza insegne. E proprio in uno di questi veniamo accompagnati, dove mangiamo le solite cose per una sciocchezza.
Nonostante fossimo già “in compagnia” si vengono a sedere al nostro tavolo altri ragazzi con il chiaro intento di proporsi come guide, ma nessuno ci sembra particolarmente affidabile. Rientriamo al nostro alloggio, sempre “scortati” da Justine ed il suo compare.

DOMENICA 23 NOVEMBRE                      GAOUA
Naturalmente il mattino dopo li troviamo ad attenderci fuori dalla porta, e si passa velocemente al dunque. L’escursione nei paesi Lobi. Concordiamo e scriviamo i dettagli. Viste le condizioni ancora febbricitanti di Santiago, optiamo per un’escursione in macchina. Si concorda un forfait, tutto incluso per l’escursione di tre giorni, per tre persone (cibo, guida, macchina, benzina, candele, pagamento per i pernottamenti di due notti e “regalini” da distribuire per fare foto) di 45000cfa. Mettiamo bene in chiaro che vogliamo scattare foto alle persone senza dare nulla personalmente. Loro ci assicurano che è possibile, e saranno infatti loro che “armati” di tabacco e le solite noci di cola,  chiederanno con anticipo il permesso alla gente dei villaggi in modo che noi saremo liberi di muoverci a nostro piacimento. Alla fine non sarà proprio così, ma sicuramente “incameriamo” una quantità soddisfacente di foto senza dover discutere con nessuno. Felici per avere “concluso” l’affare (ma con un anticipo di solo 6000cfa), i ragazzi ci accompagniamo in giro per il paese, nel quale si svolge l’immancabile mercatino. Il pomeriggio lo passiamo a goderci il nostro alloggio, anche perché non ci rimane altro da fare. Rimaniamo d’accordo con le nostre guide, che ci si vedrà il mattino successivo alle 7.00.

LUNEDI 14 NOVEMBRE                 GAOUA – PAESI LOBI
Sveglia e sistemati i bagagli, siamo pronti per le 6.45, ma il tempo passa e non si vede nessuno arrivare, 7.30, 08.00, 8.30...... ci iniziamo ad arrendere all’evidenza di essere stati fregati! 6000cfa d’anticipo per fare nulla, sono una bella tentazione da queste parti. Ci rimane la magra consolazione di avere preso i dati direttamente dal documento di una delle guide e di andare a denunciare l’accaduto alle autorità, ma ecco che appare per le 09.00 uno dei due ragazzi, il quale c’informa che la macchina con la quale si doveva partire era guasta e ne stavano contrattando un’altra. Naturalmente hanno provato a chiederci più soldi per ciò, ma il rifiuto secco è la richiesta di restituirci l’anticipo è bastato per farlo desistere. Si rimane ancora in attesa. Il tempo passa, Un’altra macchina sembra che stia per arrivare, ma si ferma anche questa….si vede in lontananza una moltitudine di gente che ci lavora intorno, e solo dopo un’ora capiscono che…..ha finito la benzina ! Si aspetta ancora…..ma dopo un’altra ora la notizia. In tutto il paese non c’è più benzina! Ieri ci sono state le elezioni e si è mossa tanta gente…distributori vuoti; e sembra che i rifornimenti non arriveranno prima delle 14.00! Siccome siamo “invitati”, visto ormai l’ora, le 12.00, a liberare l’appartamentino della base canadese, le nostre guide ci accompagnano a pranzo da un loro amico, “che abita qui vicino”, e sotto un sole cocente ci incamminiamo per due km fino ad arrivare in periferia, nella probabile abitazione di qualcuno nella quale i ragazzi avevano concordato la preparazione di un pranzo (che si è rilevato abbastanza ignobile!) Aspetta ed aspetta per le 15.00 arriva la sospirata macchina. Saliamo, partiamo, ma dopo 100m siamo punto a capo. La macchina si spegne! Invano si prova più volte di farla funzionare, senza successo. Esasperati ed alquanto dispiaciuti, chiediamo la risoluzione immediata del contratto, e di essere riaccompagnati alla base canadese dove contiamo di passare la notte e di scappare il mattino successivo da questo covo di matti! Ma le nostre guide non vogliono mollare l’osso così tanto pregustato e, con una lunga discussione, ci convincono ad effettuare l’escursione a piedi. Si ritratta il compenso per 28000cfa, e dopo che ci hanno cercato un “taxi” si va immediatamente alla stazione dei bus a 3km dal paese da dove un facile sentiero ci porta, con una corsa quasi contro il tempo, nel giro di 45min, al primo villaggio (Djikandoo), all’ora del tramonto (18.30). Finalmente ci rilassiamo e tutto lo stress accumulato in giornata si dissolve. In pratica veniamo ospitati nell’alloggio della famiglia del capo villaggio (il “deleghè”). I villaggi Lobi sono costituiti dalle abitazioni delle famiglie simili a dei piccoli fortini in fango, i quali sono  distanziati parecchio l’uno dall’altro; il villaggio, od agglomerato vero e proprio, si può estendere anche nel raggio di due km. Qui, a differenza dei paesi Dogon, in Mali, o di Tiebelè, il turismo è ancora agli inizi. Non esistono strutture predisposte. Si dorme veramente in “casa” dei nativi, a stretto contatto con gli stessi, e non esiste nessun’organizzazione in merito. Quindi…niente bagni, niente doccia (neanche quelli in stile africano!!! Si fa tutto in mezzo alla vegetazione!), niente luce, niente acqua potabile (portatevene a sufficienza), nessuna bevanda fresca, non ci sono lampade a gas, solo candele, se ve le portate! Niente posate (portatevele! O mangerete con le mani) e niente piatti!!! Si mangia tutti insieme (anche le guide) direttamente dalla pentola dove hanno cucinato. Se siete fortunati potete chiedere di separare la loro porzione dalla vostra. Sappiate che si usa dare una parte del cibo preparato alla famiglia che vi ospita. Regolatevi, quindi, con le provviste. Le guide, inoltre fanno anche da cuochi, anche se vi lascio immaginare le condizioni igieniche con le quali prepareranno i vostri pasti! Si dorme su delle stuoie sul duro tetto delle capanne. Nessuna zanzariera. Le due peggiori notti dell’intero viaggio! Ma sicuramente le più tradizionali. In questo periodo faceva freddino di notte. Un maglione, calze, un giubbotto leggero e pantaloni lunghi sono indispensabili.
Cena a base di pasta e patate. Poi un anziano della casa (piuttosto alticcio ed addormentato) ci ha intrattenuto con dei racconti sulle loro tradizioni, ed ovviamente alla fine ci ha mostrato dei “talismani” contro gli spiriti fatti spesso con conchiglie ed indossati da tutti (e solamente), i bambini dei villaggi, e…. naturalmente erano in vendita! (gli amuleti, non i bambini!) Se vi interessano, provate a barattarli con qualcosa.
Durante la notte se dovete fare un bisognino ci si affaccia direttamente dal tetto sul ciglio della struttura e…si fa! Questo ovviamente per gli uomini…per le donne..non lo so ! Scendere ed avventurarsi nella vegetazione di notte, sembra non sia consigliabile…causa …cani, galline, mucche e tutti i ricordini sparpagliati lasciati e, non ultimi,….il pericolo scorpioni!!

LUNEDI 14 NOVEMBRE                             PAESI LOBI
Sveglia, con la schiena a pezzi, e con la gioia che finalmente la notte era finita, poco prima dell’alba. Ed in questi posti sia l’alba che il tramonto sono proprio “africani”. Indescrivibili!
Visita di tre insediamenti famigliari e dell’interno delle capanne, molto particolare (si accede da un buco situato sulla sommità della struttura), e proseguimento dell’escursione. In questi posti, per camminare consiglio pantaloni lunghi, scarpe chiuse con calze, cappello (non esiste quasi, ombra), e per chi è allergico alle graminacee anche una maglietta a maniche lunghe ed un bandana da mettere sulla bocca, dato che si passa spesso in campi con “fili d’erba” alti anche più di due metri, con sentieri pressoché inesistenti. Vi aprirete il cammino come capita.
Sosta per il pranzo da una famiglia molto ospitale nel villaggio di Dumm-bù. Anche con il poco che hanno, cercano di farci sentire quasi parte della famiglia. I sorrisi si sprecano e veniamo omaggiati anche di “succulenti” semi di miglio alla brace. Si riparte verso le 15.00, quando il sole è un tantino meno implacabile, e si arriva dopo un paio d’ore nel seguente villaggio dove pernotteremo (Longatè). Potrei affermare che, visto un villaggio, visti tutti, in ogni caso è una bell’esperienza e due notti bastano (e per qualcuno avanzano!) per immergersi totalmente in quest’angolo d’africa.
Questa famiglia e poco ospitale, ed un tizio, il quale poi per fortuna si allontana, piuttosto alticcio, è piuttosto insistente ed invadente nel chiederci “cadeau”.
Cena sempre con pasta (poca) e molte patate. L’acqua dei pozzi di questa zona è quasi marrone, ed avere cucinato il tutto con essa, provoca a tutti e tre un po’ di mal di pancia, che viene messo subito a tacere con un dissenten! Qui nessuno ci fila, quindi dopo il pasto ci corichiamo quasi subito.

MERCOLEDI 16 NOVEMBRE                    PAESI LOBI
Dopo la sveglia, e la consueta visita di alcune abitazioni, dove in alcune di esse c’è un fuggi fuggi da parte dei bambini più piccoli, spaventati dal nostro arrivo, ci si incammina sulla strada del ritorno, sulla quale ci imbattiamo in una piccola “zona mineraria”, dove si scavano buchi profondi, non ho ben capito a che scopo. Proprio in questo mentre, le nostre guide hanno la bell’idea di allontanarsi per aspettarci nel vicinissimo villaggio, ma ciò è bastato perché ci sentissimo alquanto “accerchiati” ed in balia della moltitudine di curiosi i quali dopo averci spiegato cosa stavano facendo si sono subito preoccupati di chiederci il solito “cadeau”, con aria quasi di sfida. Per fortuna è bastato scherzarci su, ribattendo “un cadeau per noi ? Ma va benissimo, grazie!! Siete proprio gentili”, per far finire tutto in una risata generale e squagliarcela!
Dopo alcune soste arriviamo al punto di partenza, ovvero la stazione degli autobus, da dove prenderemo quello che ci riporterà nel giro di sei ore nella capitale Ougadougou (compagnia STR, partenze ore 7.30 e 15.30 3300cfa) dopo aver recuperato i borsoni, lasciati alla partenza, in un capanno.
Arrivati in città, dobbiamo prendere un taxi (1500cfa) per recarci al nostro affezionato albergo “le pavillion verte” (la stazione della STR è quasi di fronte alla “grande SOGEBAF”), dove trascorreremo l’ultima notte in terra d’africa.

GIOVEDI 17 NOVEMBRE
Mattinata per gli ultimi acquisti nelle bancarelle del centro, per sbarazzarsi della moneta locale avanzata (ottimi affari!), pomeriggio per preparare i bagagli e riposarsi e con il volo delle 2.00 di notte, lasciamo (felici di farlo!!!) e senza ulteriori problemi, questo paese, così ancora lontano dalle abituali mete turistiche. BON VOYAGE!

IL VIAGGIO RACCONTATO DA: ELISABETTA 

CAPOVERDE


Scena 1 : l'arrivo
- ore 2.30 del mattino (le 4.30 in italia) arrivo all'aereoporto dell'isola di Sal, impatto metereologicamente molto positivo (caldo e vento!) e burocraticamente un po' meno (1 ora di contrattazioni con la signorina della TACV, la compagnia aerea capoverdiana, per ottenere l'agognato pass aereo per 5 tratte interne), alla fine la spuntiamo e ci costa 266 euro.
- ore 3.30 arrivo all'hotel Atlantico a Espargos (l'atmosfera è da film di Sergio Leone, con portiere strabico e personaggi sonnacchiosi nella hall), ma una cosa è certa: finalmente siamo in Africa!
Scena 2: contraddizioni africane
- ore 13.30 partenza dall'aereoporto di Sal con destinazione Praia (isola di Santiago), nell'attesa veniamo circondati da orde di turisti italiani abbronzatissimi e (cosa che ci colpisce particolarmente) stracarichi di valigie (noi abbiamo solo bagaglio a mano...) che si accodano al check-in per Verona, la domanda è d'obbligo: tra 10 giorni saremo anche noi così?
(*per la risposta vai alla scena 10)


- ore 15 arrivo a Praia, siamo pronti ad affrontare la trattativa con un taxista (come la guida ci suggerisce al capitolo "usi e costumi") ma, colpo di scena!, Paolo (un italiano che avevamo contattato dall'Italia e presso il quale avremmo soggiornato a Praia) ci è venuto a prendere! la cosa si è poi rivelata non di poco conto...eravamo infatti convinti di avere il suo indirizzo, ma in realtà si trattava del nome del quartiere (a Praia le vie non hanno nome e tanto meno numero civico...).
Da qui si può già cogliere la gentilezza e la disponibilità di Paolo (e di sua moglie Cristina) che si è poi protratta per tutta la nostra permanenza a Praia.


- ore 16, decidiamo che non siamo stanchi e, usufruendo per la prima volta di quello che diventerà il nostro mezzo di trasporto preferito, (il taxi collettivo, anche detto "aluguer"), visitiamo Ciudade Velha (a circa 12 KM da Praia), la più antica città capoverdiana. Complice il giorno di festa, la cittadina è molto animata: nella piazza principale, accanto alla colonna dove venivano incatenati e frustati gli schiavi (il "pelourinho"), si svolge una vivace partita di basket, mentre lungo il greto dell'antico fiume due ragazze trasportano sulla testa bidoni d'acqua, inviando sms... (strani accostamenti e contraddizioni che ci accompagneranno per tutta l'isola rendendola molto particolare ed affascinante!)

- ore 20, cena a casa di Paolo e Cristina in compagnia di 3 ragazzi baresi che partono il giorno dopo, a base di "pinchos" (spiedini di maiale) e pollo alla griglia.
Scena 3: contraddizioni africane 2
- ore 10, visita al centro di Praia (il plateau, il mercato della frutta e verdura, il mercato della "sukupira", il porto), tutto quello che vediamo (volti, suoni, colori) ci riconduce all'Africa ed è una bellissima sensazione.

- ore 14.30, abbiamo affittato una macchina e ci spingiamo nei sobborghi di Praia (la "prainha"), dove in realtà vivono i ricchi; per comprendere di cosa si tratta è sufficiente un esempio: una villa con la facciata in marmo di Carrara (gli arricchiti italiani qui non sarebbero neanche in gara....)...nuovi pensieri e contraddizioni....
Decidiamo anche di andare a vedere la spiaggia di Sao Francisco (sulla costa orientale dell'isola), la strada è parecchio dissestata, ma il panorama finale vale tutti i sobbalzi!

- ore 20, cena in città al ristorante "Benamar", proviamo la garroupa (cernia alla griglia) e la cachupa (zuppa di legumi, carne e verdure), compreso il bere spendiamo 15 euro (in due!)
Scena 4: su e giù per l'isola
-ore 9, partiamo in macchina alla volta di Tarrafal (il punto più a nord dell'isola), per arrivarci seguiamo la strada interna, un saliscendi continuo tra valli verdi e paesini minuscoli, fino alla piana di Assomada, e da lì arriviamo a Tarrafal (la spiaggia è bella ma non ne restiamo abbagliati...). L'attrazione della giornata sono alcuni capoverdiani che si cimentano con potenti moto d'acqua (probabilmente si tratta dei possibili abitanti della casa di marmo...), con risultati scarsi...
Per il ritorno decidiamo di seguire la strada costiera orientale e qui, il susseguirsi delle baie è uno spettacolo mozzafiato!

- ore 20 cena al ristorante Tradicon a Praia, mangiamo filetto di tonno e pollo (il conto questa volta è 12 euro...)
Scena 5: vita di città
oggi ce la prendiamo con calma (il che equivale a dire che dormiamo fino a tardi), la mattina andiamo in banca ed al supermercato e, nel pomeriggio, decidiamo di tornare nuovamente a Cidade Velha (la sua atmosfera ci è proprio piaciuta); la sera, per festeggiare il compleanno di Elisabetta, andiamo alla Churrasqeira "Dragoeiro" e prendiamo pinchos a volontà! (record economico: 15 euro in 4)
Scena 6: il vulcano
- la mattina giriamo a piedi per la città nella zona dei consolati (imperdibili le foto degli astronauti cinesi appese sulla facciata dell'ambasciata di quel paese)

- ore 14, partenza da Praia con destinazione S.Felipe sull'isola di Fogo

- ore 15 arrivo a S.Felipe. l'impatto è strano: non c'è vento ma soprattutto capiamo subito che raggiungere Cha das Caldeiras (il villaggio a 1700 metri d'altezza situato nell'antico cratere del vulcano) non è cosa ne semplice ne economica (ci chiedono 50 euro!). Alla fine di complicate trattative (svoltesi presso il bar di Amelia nella piazzetta di S.Felipe), spuntiamo di affittare una macchina per 45 euro (invece dei 100, tra andata e ritorno, che avremmo dovuto spendere) ma, nuovo colpo di scena! Strombazzando ci raggiunge Junior, l'aiutante capoverdiano di Patrick, il francese proprietario della pensione (la Pousada Pedra Brabo), dove avremmo dovuto dormire. Il paese è molto piccolo e i nostri tentativi non devono essere passati inosservati, fino a giungere alle sue orecchie...saliamo sul suo camion (nel cassone aperto) insieme ad altri 5 francesi e per soli 7 euro raggiungiamo il vulcano!
Il solo viaggio per arrivarci vale tutta la vacanza....la strada si inerpica sempre di più fino a quando, dietro una curva, si staglia il maestoso Pico de Fogo.
Da quando lo si vede tutto il mondo intorno diventa nero! la strada, le rocce, la sabbia (che in realtà è cenere), le case...
Patrick e la sua pensione ci accolgono con la semplicità che si adatta ad un luogo del genere...
Non c'è corrente elettrica (la pensione ha un generatore che di notte viene spento), e quando arriva la sera il nero è ancora più avvolgente...un solo commento: da vedere.
Scena 7: orgoglio capoverdiano
- ore 7.30 , purtroppo siamo costretti (con l'unico mezzo che riusciamo a trovare ad un costo accessibile) a tornare a S.felipe la mattina presto. Passiamo la giornata in giro per la cittadina, pranziamo da Amelia (glielo dovevamo!) e ci accorgiamo che l'atmosfera è completamente diversa da quella di Praia (molto meno africana), l'orgoglio degli abitanti per la loro isola è tangibile, e ci colpiscono le tante e operose falegnamerie che incontriamo.

- ore 17 partenza da Fogo con destinazione Praia e da lì un altro aereo per Mindelo, sull'isola di S.Vicente.
Anche a questo aeroporto veniamo piacevolmente accolti: questa volta da Lino, un taxista capoverdiano che ha vissuto a Roma e parla un buon italiano. E’ stato mandato da Paolo (non lo stesso di Praia, ma un altro italiano che, come il suo omonimo, offre un servizio di B&B e di assistenza turistica). Ci accorgiamo subito che quest’isola è diversa sia da Santiago sia da Fogo, intanto le strade sono asfaltate, e poi le case, le vie, tutto ci sembra più ordinato che a Praia, d’altronde Mindelo è nota come la capitale culturale e questa nomea è subito evidente.

- ore 20 ci sistemiamo in albergo (Pensione “Sodade”), poiché per un disguido la camera a casa di Paolo è ancora occupata. Lui è molto simpatico e ci da subito un sacco di dritte importanti per i giorni che seguiranno.

- ore 21.30 andiamo a cena alla "Chauve de oro", un ristorante vicino al porto, e la sensazione, grazie agli arredi e soprattutto alla gestualità dei camerieri, è quella di essere tornati indietro di 50 anni!
Scena 8: vento e mare
-ore 10, avendo solo un giorno a disposizione decidiamo di affittare una macchina, Paolo ci accompagna in un negozio di vestiti (sarà pure una città più colta, ma le stranezze africane non mancano neanche qui...) dove ci impossessiamo del nostro nuovo mezzo e partiamo alla scoperta dell'isola. La prima tappa è in cima al Monte Verde da cui si gode una vista eccezionale (l'unico punto dell'arcipelago da cui si vedono 4 isole), poi giù fino a Baia das Gatas, quindi Calahu e la mitica Praia Grande (chi ama le spiagge non può perdersela). Rispetto a Santiago è tutto molto più "ordinato" e anche le condizioni del fondo stradale sono più che accettabili. Ci spostiamo poi a sud per vedere la famosa spiaggia di S.Pedro e comprendiamo immediatamente perchè è il paradiso dei wind-surf: il vento soffia forte e costante da terra, il mare è una tavola ideale per surfisti esperti (chi non lo è rischia di non riuscire più a rientrare, e leggende narrano di gente alla deriva verso il sud america...), sulla spiaggia invece c'è un gran movimento di pescatori con le loro barche. Facciamo anche una puntatina ai 3 grandi generatori eolici vicino all'aereoporto che sono enormi!

- ore 20 ceniamo in una churrasqueria in città (anche qui i pinchos sono buoni, ma manca l'atmosfera rustica e incasinata di Praia), dopo cena andiamo a sentire un po' di musica dal vivo al "Cafè del Mar" in Placa Nova e, per la prima volta (!), incontriamo altri turisti italiani, purtroppo il giorno dopo dobbiamo alzarci presto e ce ne andiamo a malincuore (per la cronaca i cocktail costano intorno ai 2 euro)
Scena 9: l'eden
-ore 8 partenza dal porto di Mindelo con destinazione Porto Novo, sull'isola di S.Antao, sentiti i racconti ci accingiamo con un po' di apprensione al viaggio in nave.
In realtà dal mese di settembre c'è un nuovo e abbastanza confortevole traghetto (costo del passaggio 6 euro), che però non ci risparmia una bella ondata (regola n° 1:all'andata posizionarsi sul lato sinistro della nave). I capoverdiani comunque lì vediamo soffrire parecchio: è questa l'unica occasione in cui ci sia capitato di vedere la preoccupazione sul volto di persone sempre allegre e cordiali, alla partenza della nave cala il silenzio, tutti si raccolgono, cercano di dormire e si tengono stretti i sacchetti per il vomito che un solerte marinaio distribuisce....
All'arrivo, ancora una volta, siamo attesi! Si tratta di Cecilio, proprietario di un aluguer, che ci accompagnerà fino al cratere di Cova. L'isola di S.Antao è longitudinalmente separata in 2 versanti tra loro completamente diversi. Quello a sud (che attraversiamo in aluguer) è brullo e arido, mentre quello a nord è....il paradiso terrestre! Cecilio ci lascia in cima, infatti affronteremo a piedi la discesa del versante nord e da subito capiamo che è un'esperienza unica! La prima cosa che ci colpisce è l'antico cratere di Cova, una pianura completamente coltivata, grazie al clima favorevole qui cresce di tutto (pini, abeti, banani, felci, patate, cactus, caffè, mais....), l'acqua viene portata a dorso di asino, i ragazzini corrono a piedi nudi sulle pietraie con la massima naturalezza, mentre gli adulti zappano la terra. Quello che colpisce è che tutto questo avviene nel silenzio...e per noi questo posto ha rappresentato la materializzazione del concetto di pace.
Superato il cratere, proviamo un tuffo al cuore, infatti il sentiero prosegue in discesa con un'infinità di tornanti (a causa delle nubi non ci rendiamo conto di quanti siano) a strapiombo sulla parete della montagna. Quando arriviamo alla fine delle nubi lo spettacolo è pazzesco: sembra di essere in Thailandia, in pratica ci troviamo dentro una valle strettissima e tutto, intorno a noi, è verde e rigoglioso, e in lontananza si vede l'azzurro dell'oceano, che spettacolo!
Non essendo dei camminatori esperti dopo circa 3 ore, arrivati al primo paesino, decidiamo di prendere un aluguer e proseguiamo quindi la discesa fino a Paùl, qui ci fermiamo per pranzare (pane, formaggio e banane in riva all'oceano), e quindi un altro aluguer fino a Ribeira Grande, una sosta per visitare la cittadina e poi l'ultimo aluguer che ci conduce a Ponta do Sol, la nostra meta.
Andiamo subito alla pensione, gestita da Blaise, dove ci rinfeschiamo e decidiamo di affrontare l'ultima fatica, ovvero una camminata di circa un'ora per raggiungere Fontainhas, il paese dei naufraghi (ci aveva molto colpito la sua storia: in pratica, a causa di un naufragio, un gruppo di francesi si è stabilito in questa valle impervia ma ricca d'acqua, e ancora oggi si possono notare gli influssi europei nei suoi abitanti)

- ore 18 ci concediamo un aperitivo (le abitudini milanesi non si perdono) in riva al mare e poi ceniamo con Blaise alla sua pensione, l'incanto è totale e ci spiace veramente tanto di dover à partire il giorno dopo.
Scena 10: vita da turisti
- ore 7.20 appuntamento con Cecilio che ci riaccompagna a Porto Novo, in tempo per la nave delle 10

- ore 11 arrivo a Mindelo, facciamo i bagagli, un ultimo giretto in città e con Lino, il taxista, raggiungiamo l'aereoporto

- ore 14.50 partenza da Mindelo con destinazione Sal

- ore 16, arrivo a Sal, come era immaginabile, non siamo ne abbronzatissimi ne carichi di valigie, ma pieni di un sacco di belle sensazioni... e comunque la vacanza non è ancora finita! il nostro aereo per Lisbona parte alle 2 del mattino e decidiamo di visitare anche quest'isola.
La prima tappa è alle saline di Pedra Lume. Diciamo che sono interessanti, e forse vale la pena di vederle sapendo che tutta l'area è stata acquistata da un imprenditore italiano che intende farci una beauty farm (della serie: io le ho viste prima di...), poi finalmente arriviamo a S. Maria.
Da notare che non siamo riusciti a trovare un aluguer collettivo (l'impressione che abbiamo avuto è che qui li usino solo i locali) e quindi ci siamo rassegnati ad un taxi. Sinceramente, sentiti i racconti, su S.Maria, pensavamo molto peggio! La spiaggia è comunque bella e tutti i resort e gli alberghi hanno strutture che non definiremmo devastanti, certo che rispetto a quello che abbiamo visto...

- ore 2 partenza da sal per Lisbona
Scena 11: ricchezza e povertà
- ore 6.30 (ora del Portogallo) arrivo a Lisbona, l'aereo per Milano parte alle 19 e quindi approfittiamo per un giro della città. Tutto ci sembra strano, noi siamo abbastanza fusi (in pratica il nostro viaggio di ritorno è partito a Ponta do Sol, sull'isola di S.Antao), e il fatto che sia domenica, probabilmente sfalsa l'immagine della città ma, a parte il quartiere dell'Alfama e qualche bel monumento, non ci entusiasma. Ci da un'impressione di povertà e, considerando che veniamo da un paese dove economicamente non c'è assolutamente nulla, questo la dice lunga su quanto lo spirito e l'animo della gente creino la vera ricchezza di un luogo.


IL VIAGGIO RACCONTATO DA: SABIVO

SHARM

Si parte, destinazione Sharm el Sheikh ovvero baia dello sceicco, il più celebre centro balneare del Mar Rosso, situato sulla punta meridionale del Sinai, che vanta dalla sua uno dei più ricchi e spettacolari ambienti subacquei della TERRA. Con oltre sessanta chilometri di costa, con le sue spettacolari formazioni coralline e le sue innumerevoli specie animali, l’area di Sharm El Sheikh permette di cogliere un ambiente marino delizioso, nel pieno del suo splendore.
Dopo l’indecisione iniziale, in bilico tra Sharm o Hurghada ??? scegliamo il primo,  perché pensiamo che non si diventa in pochi anni, partendo dal nulla, una delle più rinomate mete del turismo internazionale senza avere qualcosa di veramente unico da offrire…
Andiamo allora a vederla questa mecca di subacquei, amanti dello snorkelling e dei patiti dell'abbronzatura.
La penisola del Sinai, nome di incerta origine che sembra derivare da quello di un'antica divinità lunare chiamata "Sin", si protende nel mar Rosso “estensione”  del nostro amatissimo oceano Indiano, ma oltre ad essere un vero paradiso per i sub Sharm El Sheikh è perfetta anche per chi desidera unicamente trascorrere un indimenticabile periodo di sole, di mare  e di relax assoluto, magari sulla splendida spiaggia di Naama Bay, la più esclusiva turistica ed animata della zona.
Qui restano sicuramente soddisfatti gli amanti del divertimento o della notte per gli innumerevoli ristoranti, i ritrovi, i localini alla moda, le baracchine tipiche, Sharm  vecchia, le affollate vie dello shopping sempre piene di gente e l’ormai celebre passeggiata che costeggia Sharm centro,  perché riesce veramente a soddisfare tutti i gusti a tutte le ore e tutti gli interessi.
E penso che questo posto è una miniera inesauribile di storia, vera culla di una civiltà straordinaria, che a distanza di millenni offre tantissimo sotto tanti punti di vista,  l'Egitto è davvero un  “Dono del Nilo”.
La frenesia a cui purtroppo siamo obbligatoriamente abituati, scema man mano che la vacanza cresce, ci stiamo disabituando con enorme gioia, all’orologio al polso, alla televisione, alle pause caffè, agli appuntamenti, che meraviglia è tutto cosi piacevole e cosi più vissuto!!
Le giornate corrono serene,  sono piene di incontri piacevoli, di azzurro di mare, di respirazione calma e pacifica, di ritmi più lenti e naturali, di disponibilità e apertura verso gli altri, di accoglienza, di riflessione e di tanto amore...
La nostra attenzione e la nostra gioia si indirizzano subito e soprattutto all’attività dello snorkelling, spettacolare, mai fatto tanti bagni e tuffi come adesso… sembra un’ossessione, è una  curiosa e continua ricerca verso quei tipi di pesci non ancora avvistati.
Subito il primo pomeriggio in spiaggia conosciamo Lala un giovane egiziano che parla benissimo il milanese napoletano e bresciano, simpatico, anzi di piu e con lui si fa a gara a chi spara più caz..te….
E’ feeling già da subito e decidiamo immediatamente che è dei nostri!!
Insieme tutte le mattine  avremo il vizietto di uscire oltre il pontile per immersioni, si va a cercare i pesci con le dimensioni più grandi, i coralli più colorati rosa,blu, gialli viola, … di crostacei dalle forme e dai colori più  strani…. le acque al largo brulicano di vita sottomarina …… e si ride del niente.. insieme…..
E’ proprio grazie a Lala che organizziamo direttamente al Sonesta Beach  Resort (ns. casa egiziana) le escursioni  da farsi, la prima  all’isola  di TIRAN, scenario di spettacolari reef e fondali vergini tra i più belli …di tutto il Mar Rosso anzi …. di tutto l’Egitto anzi …. del mondo……
Partenza di buon ora insieme ad Amed, col pulmino pinne boccagli creme e passaporti (non bisogna mai dimenticarseli) ci dirigiamo verso il porto commerciale dal quale partono tutte le mattine infinite barche cariche di ominidi, alla scoperta  delle profondità marine.
Amed e Said le nostre guide a capo della barca chiamata “Paraiso” ci introducono subito,  con tanto di mappe marittime alla mano, lo svolgimento della giornata e ci spiegano le principali caratteristiche del loro mare, che sono la salinità molto elevata dovuta alla scarsità di pioggie, la limpidezza delle acque, dove si ammirano dal vivo pesci multicolori, l’alta  temperatura dell'acqua tale da renderlo un mare tropicale e da consentire la nascita e lo sviluppo dei coralli … e per ultimo  alghe, rosse appunto,  per questo motivo il Mar Rosso appare e viene chiamato in questo modo.
Facciamo le tre tappe principali, Gordon, Thomas e Jackson, nelle prime due la barca si ferma , noi si scende e si rientra a bordo, dopo 40/45 minuti in assoluta estasi, sballati dalla meraviglia della profondità, basta solo lasciarsi coccolare e trascinare dalla corrente , solo respirare e ancora respirare, si può vedere di tutto, i piu belli in assoluto i tritoni gialli e blu, le mante maculate bianche e nere,  i pesci leone, e l’immancabile Nemo delle anemoni…. Sweet.
A Jackson invece ci si ferma per l’immersione mentre la barca procede in lento movimento, si può andare a vedere il piccolo faro e in lontananza si ammira anche il relitto di una nave … ma dove siamo!?!?!Sembra di vivere in  un documentario…..
 Anche qui dopo 40/45 minuti in assoluta estasi si deve risalire, ma nooooo!!

Con il senso di pace che infonde il mare e la luce sottomarina ho l’idea di vivere “galleggiando”… Grazie alle profondità del blu e al cullare delle onde Si Conosce In Profondità Se Stessi, il proprio carattere e i comportamenti, è difficile da spiegare ma tutto sembra davvero ovattato, rallentato e le sensazioni sono amplificate a tal punto che ci si lascia davvero andare.
La vacanza va ancora meglio quando conosciamo una coppia di persone Speciali, Leandro e Adriana, di Varese, con i quali è subito feeling…già dalla prima sera.
E sempre per quel senso di stupore e di libertà che aleggia nelle giornate,  ci si ritrova a emozionarci a ridere, si parla di tutto, del senso della vita, delle cose, insomma si riconoscono i propri limiti emozionali e mentali e si impara a superarli……
Tutto questo è per me Energia Vitale…..

Per l’indomani l’escursione prevista per S. Caterina (mattina) + DAHAB (pomeriggio) salta a causa dell’attentato, tristemente accaduto il 3* giorno  del ns. soggiorno egiziano.
Lala ci impone di suo piu categorico divieto,non fate le escursioni di terra!!!
Ne con me, ne con altri, DANGER!
Devo ammettere che la sera dell’attentato ho vissuto attimi di  ordinaria ansia e paura, perche nel villaggio Bluvacanze gli animatori italiani non solo non hanno minimamente accennato all’attentato e alle bombe, ma volutamente facevano cadere ogni tipo di discorso sulla cosa, le informazioni provenivano o dalla CNN oppure dai pochissimi sms dei pochi clienti che prendevano il campo con l’Italia.
Col senno di poi adesso che tutto è lontano nel cassetto dei ricordi, forse è stato un buon metodo per non “spargere” allarmismo tra i guest, però rimanere all’oscuro di ciò che mi accade intorno non mi piace neanche un pò, anche e soprattutto nelle situazioni di pericolo!

Sempre Lala ci sconsiglia per tutta la permanenza di fare escursioni di carattere storico –archeologico, evitare di vedere i luoghi di culto o particolarmente affollati e di continuare a fare escursioni di solo mare, limitatamente alla zona sud, che peccato…….
Saltata l’escursione  il pensiero va a quelle vittime innocenti che hanno perso la vita , in particolare al bimbo tedesco di soli 5 anni, ricoverato proprio al vicino ospedale internazionale di Sharm.
A causa dell’attentato terroristico di Dahab non abbiamo visitato Il Monte Santa Caterina  a ridosso del quale si trova il celebre Monastero di Santa Caterina, cosi come Ras Abu Galum, la Blu Hole e il Canyon che stanno tutti nella parte centro-settentrionale della penisola e sono note  per le limpidissime acque incontaminate ……
Dahab ("oro" in arabo) è la nuova e forse più bella Sharm , posta a un centinaio di chilometri a nord verso Taba e ci hanno spiegato che è  particolare per le sue  abitazioni in pietra con il tetto di palma situate sulle lunghe spiagge di sabbia dorata , roccaforte dei beduini visto che  si estende su tre oasi
Qui non è tutto artificiale e commerciale come a Sharm, ma  vi si respira un’aria diversa, come in un luogo in cui c’è ancora qualcosa da scoprire.
 I suggestivi locali che tappezzano la spiaggia di Dahab sono un richiamo e luogo di ritrovo per i giovanissimi di tutto il mondo, soprattutto occidentali perché c’è la possibilità di fare  shopping e soggiorno a prezzi molto contenuti, vista la forte comunità di hippy ormai residente in loco

Per riempire le giornate Optiamo allora di  andare a fare  Snorkeling a RAS MOHAMED che sta a 30 km. a sud di sharm, parconazionale, dichiarato '' riserva protetta e posto sotto il patronato dell'Onu  aperto dal 1985.
È una zona di straordinaria bellezza e di enorme interesse dal punto di vista della flora e della fauna marina.
Noi scegliamo di fare la prima parte via terra, con il pulmino  misto italo russo egiziano.
Prima di arrivare a Ras Mohamed si effettuerà una sosta alla laguna delle mangrovie, una alla spaccatura del terremoto ed una al '' lago magico ''. Arrivo alla spiaggia di Ras Mohamed e tempo dedicato al sole, al mare ed allo snorkeling.
Irripetibile, peccato che questa giornata è realmente volata!
Nei  giorni successivi decidiamo di fare mare ma fino alle prime ore del pomeriggio, dopo pranzo si esce per giretti e piccoli tour in avanscoperta a Sharm vecchia, qui c’è di tutto dai bazar, ai negozietti che vendono papiri e narghilè, imperdibile un locale chiamato Al Faaran, gestito da italiani, bisogna andare all’ora del tramonto e gustarsi i riflessi dell’oro del sole nelle acque che ribattono sugli scogli.
Abbiamo fatto giusto per curiosità un giro anche a Fantasy World Le mille e una notte, una sorta di piccolo parco dei divertimenti in stile Gardaland, ultrapubliccizzato per i suoi spettacoli di danza e di cammelli… noi non lo abbiamo particolarmente apprezzato, per i nostri gusti è troppo costruito e palesemente “plastico” finto insomma…..
Cosi come il Casino che vale giusto l’illusione di una sera…
L’Egitto è stato davvero una bella scoperta!!
Per me approfondire, comprendere e conoscere quanto le terre cosi gli uomini diversi per cultura, religione e ambiente rientra nelle leggi della mia Natura.
Incontrare nel viaggio ciò che mi è sconosciuto porta la mente ad aprirsi, a scoprire anche di se stessi nuovi e incredibili percorsi senza voler per forza portare con sé le abitudini che spesso scandiscono la vita quotidiana.
Ripeto anche l’incontro con nuovi amici, in particolare Leo e Adriana non solo è stato ultra piacevole ma anche emozionale, ha reso il nostro Viaggio  una conoscenza profonda e vissuta del vicino,  rispettando le necessità i tempi e i caratteri di tutti!

IL VIAGGIO RACCONTATO DA: RAFFAELLA

RELIGIONE
Veramente onnipresente. Quello che più mi ha sorpreso è che, a differenza del Marocco, qui cinque volte al giorno si interrompe tutto per pregare. Per questo camminando sul marciapiede si possono trovare delle stuoie verdi o talvolta dei veri e propri tappeti. Un giorno ho cercato di entrare in una pasticceria ma era momentaneamente chiusa e varie persone dentro si prostravano. Alla biglietteria della stazione l’addetto si era assentato per lo stesso motivo. Questa pausa di orazione  non era però servita a migliorargli l’umore. C’è chi prega veramente molto e per questo si ritrova poi sulla fronte una specie di bernoccolo o macchia, e c’è chi, invece, utilizza gli spazi religiosi per altre finalità. Varie volte mi è capitato di cogliere nella moschea qualcuno disteso russando placidamente.
Praticamente quasi tutte le donne portano il velo (di cui ho appreso la tecnica di messa sul capo con tre spilli e una spilla da baglia). Alcune esagerano e si coprono volto e mani. Sono tutte nere e vederle con dei bambini fa una certa impressione. Mi domando se questi non si spaventino. Non sono ben considerate da chi, seguando i dettami del Corano, porta solo il velo sulla testa.
Ovviamente a casa propria tutti possono circolare seminudi e in questo senso i negozi di intimo offrono notevoli audaci modellini. C’è comunque della vanità anche nel velo. Nel vagone per sole donne del metro (presente in Messico solo in alcune linee e orari e qui invece più radicato) è interessante notare la varietà di colori, fantasie e abbinamenti.

DONNE
A proposito di metro le donne hanno la precedenza nell’acquisto del biglietto probabilmente non tanto per cavalleria ma per evitare che restino esposte in fila all’attenzione dei maschi.
Più volte ho assistito a scene di violenza nei riguardi del gentil sesso e in particolare me ne ricordo una quasi da film. Una giovane coppia in metro, lui in completo da manager, lei elegante e con il velo. Evidentemente lei non aveva nessuna intenzione di recarsi dove lui diceva. Dopo aver iniziato a gridare lui la trascina per le scale, lei gli morde la mano, lui le dà uno schiaffo. La scena continua all’uscita del metro. Bloccano il traffico mettendosi a discutere nello stesso modo in mezzo alla strada. La gente osserva ma non interviene. E pensare che nell’Antico Egitto le donne avevano molta importanza, non esisteva la cerimonia del matrimonio ma le persone si univano liberamente e potevano separarsi.

TRAFFICO
In confronto al Cairo Città del Messico è una tranquilla cittadina e gli automobilisti sono molto rispettosi. In nessun caso il pedone in egitto ha possibilità di passare per primo, qualunque sia la sua condizione di genere, età e salute. Mi domando come vivano qui i non vedenti, gli anziani, le mamme con carrozzina. Ho calcolato che in media ogni 3 secondi suona un clacson. Sembra los sport nazionale.

NEGOZI
Al quartiere islamico con Ahmed, giovane studente di storia nonchè simpatico amico, scopro alcune cose curiose. Un uomo che continua a utilizzare la tecnica di stiratura del padre: lo fa con un piede e attenzione non stira con i piedi ma molto bene!
Un barbiere invece ha inventato una tecnica di depilazione utilizzando un filo da cucito. Tutto questo tra i vicoli immortalati nelle pagine del premio Nobel Naguib Mahfuz. Si può bere un thè anche tra le tombe di un cimitero. Se vedete uno stenditoio per strada sicuramente siete davanti a un parrucchiere che cerca di asciugare velocemente gli asciugamani. In farmacia sono sempre saggiamente presenti delle sedie. Chi necessita di medicine tanto bene non deve stare: fatelo sedere! Un ambulante offre the da bere da un unico bicchiere che lava sciacquettandolo con una brocca.

IGIENE
Nota dolente. Per questo le mosche circolano ovunque. Il concetto di igiene personale e pubblica è veramente distante dai nostri parametri. Chillaba (la tunica) sporca, unghie nere, denti giallo-marroni (sembra colpa della pipa ashish). Cestini inesistenti. Per strada ci sono dei rubinetti d’acqua potabile con dei bicchieri metallici legati a una catenella. La gente beve dallo stesso bicchiere senza la minima preoccupazione e senza lavarlo. Tovaglioli di carta e carta igienica, articoli sconosciuti. Vanno molto però i fazzolettini di carta venduti per strada.

ABITUDINI
Se qualche egiziano fa il classico gesto italiano del ‘cosa vuoi’, ‘ che dici’ (che gli antropologi definiscono mano a saccoccia) il significato è un altro: ‘un momento’. Se vedete coppie di uomini abbracciati o con la mano in mano, non sono gay, sono amici.
Molto divertente sentire tutti i motivetti arabi delle suonerie dei cellulari. A proposito di cellulari, gli egiziani se non si arrabbiano parlano con un tono di voce molto basso. Me ne sono resa conto quando sul treno delle molteplici conversazioni telefoniche si è sentita solo quella di un italiano che in confronto agli altri sembrava star facendo un comizio. Quando si arrabbiano anche i cammelli sono molto espressivi, tutt’altro che mansueti.
Cambiando argomento, riguardo le abitudini nel bagno al posto del doccino dei water brasiliani, in Egitto esiste un piccolo tubo  metallico fisso all’interno del water. Se si apre il rubinetto il wc si trasforma in bidet. Che ne pensate? Due piccioni con una fava.

CIBO
Non è molto vario. Il piatto più popolare è un mix di pasta, riso, lenticchie, cipolle. A colazione vanno pomodori e olive. Le bibite più comuni sono il karkadè (come la jamaica messicana) e il succo di canna da zucchero (diffuso anche in Brasile). L’acqua pura si beve molto, le bibite gassate no.

VIAGGIO
Il mio viaggio ha toccato Cairo (molto varia tra la parte archeologica, quella islamica, quella copta e quella moderna) per 6 giorni, Luxor (troppo turistica, un vero assedio per il visitaore) 1 giorno più 2 di lungo viaggio percorso in treno, 11 h per 2), Alessandria (meditteranea, pulita e moderna). La cura delle istituzioni culturali (forte, biblioteca, musei) ad Alessandria è ben diversa da quella cariota. Il museo archeologico del Cairo ad esempio ha dei cartellini scritti con la macchina da scrivere e madraze (scuole coraniche) e wikala (antiche locande) sono totalmente vuote e impolverate, sembrano abbandonate. Complicato l’uso del treno per fare i biglietti. Tutto scritto in arabo e bigliettai che ignorano l’inglese. Persone quasi tutte gentili e socievoli. Al Cairo ho passato 2 giorni in compagnia di Ahmed e una casalinga e un’artista mi hanno accompagnato e invitato a mangiare (invito schivato). A Luxor sono stata con Fatma, studentessa come guida turistica. Ad Alessandria una coppietta voleva socializzare ma è stata stroncata. Nei viaggi in treno ho conosciuto un dj, un poliziotto, un venditore di apparecchiature mediche. All’hotel del Cairo, dove ero l’unica turista straniera, ero di casa e quando sono ritornata dopo Luxor mi hanno fatto tante feste. La cameriera mi mandava i bacini. In generale è inesorabile essere identificata come straniera. Tutti ti salutano, ti chiedono il nome, i bambini ti osservano, vogliono essere fotografati con te. Tutti i custodi (moschee, palazzi, siti archeologici) chiedono continuamente una mancia, a volte a tariffa fissa. Tutto questo a volte risulta un po’ noioso.

IL VIAGGIO IN EGITTO RACCONTATO DA: DANIELA 

E’ la mia terza partenza per l’Egitto. La prima nel 1996 quando ancora si viveva il fascino e l’atmosfera magica dei siti, la seconda volta nel 2003 con grande delusione di vedere trasformati i luoghi da visitare, per la comodità del turista,quasi un parco dei divertimenti, questa terza partenza è la realizzazione di un sogno, visitare anche quella parte dell’Egitto sconosciuta ai più, quella che le agenzie non propongono e la meta agognata più di tutto sarà ABYDOS.
Siamo in quattordici, tra noi Paolo Renier amico, fotografo e autore di una mostra fotografica su Abydos (www.studiorenierpaolo.it)le cui conoscenze “altolocate” ci hanno permesso l’attuazione del viaggio e Ezz Salem egittologo nativo di Abydos.
Primo giorno:Si parte da Roma dopo essere arrivati con l’Eurostar da Venezia, l’agitazione e la curiosità sono tante, del viaggio infatti sappiamo solo a grandi linee come si svolgerà, non ci sono programmi e orari fissi, tutto si baserà sulla nostra curiosità e sulla nostra resistenza fisica visto che anche sulla carta si dimostra “tosto”.
Arrivo al Cairo in serata e dopo le più o meno confuse pratiche doganali e ritiro bagagli, usciti dall’aeroporto incontriamo per la prima volta Ezz. Veniamo “caricati” e stipati insieme ai nostri bagagli dentro un pulmino che sarà il nostro mezzo di trasporto per una parte del viaggio, attraversato il Cairo arriviamo all’Hotel. Incontro e vado a cena con Adel Aziz altro egittologo-guida conosciuto nel primo viaggio, rincontrato nel secondo e col quale ho mantenuto sempre contatti via mail. E’ bello trovare un amico in terra straniera!
Secondo giorno: sveglia presto, rifatti i bagagli si parte per la visita delle Piramidi, è necessario arrivare presto perché i biglietti per l’entrata sono ogni giorno solo un certo numero e non molti.
Piramide di Cheope.Non so se entrare o no…mi impressiona il cunicolo davanti a me..ma come gli altri mi faccio coraggio e affronto prima la discesa e poi la lunga salita per raggiungere la sala del sarcofago. Siamo i primi e per il momento i soli, restiamo per un attimo in religioso silenzio prima di raggiungere sudando l’uscita ostacolati dalla risalita di vocianti giapponesi! Giro d’obbligo nella spianata dietro alle Piramidi per le foto di rito…c’è chi è per la prima volta in Egitto e quindi ha voglia di immortalarsi nelle immagini classiche che da sempre conosciamo dai libri e dai documentari. Partiamo alla volta della Sfinge e del Tempio della Valle. Anche se è la terza volta, rimango affascinata da questi meravigliosi scorci e ascolto finalmente anche qualcosa di “nuovo” vista la preparazione di Ezz. Si riparte, meta Saqqara, Piramide a gradoni di Zoser e visita al nuovo Museo, piccolo ma curato e degno di una vista. Tomba mastaba di Ti e Mastaba di Ptah-Hotep sono le altre cose viste in questo sito, spiegate da un Egittologo…sono tutta un’altra cosa!! E si riparte, affamati e stanchi….acquistiamo lungo la strada arance, banane e fragranti gallette al sesamo nonché acqua, anche se non fa certamente caldo! La prossima meta la Piana di Dahsur e la visita delle Piramidi di Snefru, la Piramide Romboidale con la sua facciata ancora ricoperta di lastre bianche e la meravigliosa Piramide Rossa… (entrare assolutamente..ne vale la pena!) già qui cominciamo a essere un po’ fuori dai classici percorsi! Finalmente abbiamo il “permesso” di mangiare i nostri cestini da viaggio che ci seguivano fin dal mattino. Fame è dire poco….e i pomodorini e cetrioli sconditi…sono buonissimi!!!!
Ci aspetta un lungo viaggio per raggiungere El Minia, vediamo dal finestrino un Egitto sconosciuto, paesini modesti, mercatini locali, gente seduta per terra e piano piano cala la sera. Sfiniti arriviamo in albergo (??? )e affamati assaltiamo il buffet stranamente degno di nota. Sarà la fame?...no, il cibo è proprio buono.
Terzo giorno: Si caricano i nuovi cestini del pranzo sul pulmino, ci attende la scorta armata che ci accompagnerà per il resto del viaggio e più o meno insonnoliti ci accalchiamo in macchina. Si parte, il percorso è lungo il Nilo o vicino ai suoi rami..il passaggio del pulmino nei vari villaggi provoca saluti e curiosità da parte della gente, non credo siano abituati a vedere stranieri! Prima sosta a Khmunu, ribattezzata HERMOPOLI dai successivi dominatori greci. Appena si imbocca la strada d’accesso all’antica città si rimane a bocca aperta di fronte a due immense statue di Thot, dall’aspetto di babbuino. Adesso qui c’è un piccolo museo all’aria aperta. La gente dal villaggio viene curiosa a …vedere noi che costituiamo per loro una grande attrazione. Oltre ci sono gli imponenti resti di diversi templi tra cui uno greco dedicato ad Hermes e un altro dedicato a Thot fatto erigere da Sethi I. Oltre si possono ammirare delle belle colonne greche che costituivano un’agorà.Si riparte e la nostra scorta…buca una ruota! Mentre indaffarati la stanno cambiando, ne approfittiamo per scendere e fare fotografie..misere casupole sorgono lungo un corso d’acqua e in pochi minuti, richiamati dalle grida si raggruppa un variopinto gruppo di persone che ci salutano, bimbi per mano e in braccio che ci fanno grandi sorrisi…passano sulla strada cammelli carichi di foglie di palme…tutti ci guardano curiosi! Si riparte e improvvisamente dopo tanti chilometri in mezzo al verde e a una campagna coltivata e rigogliosa, dopo una curva appare improvviso il deserto sabbioso. La macchina della scorta corre veloce, noi rallentiamo perché il pulmino slitta sulla sabbia portata dal vento sull’asfalto. Ci fermiamo per ammirare dopo una lunga camminata e la salita di una scalinata invasa dalla sabbia, una parete rocciosa ricoperta di immagini e geroglifici che rappresenta uno dei confini del territorio occupato da Amenophis IV ribattezzatosi AKHENATON il Faraone eretico. Arriviamo finalmente a TUNA EL GEBEL. Dall’ingresso, dove si trova un punto di ristoro, si deve proseguire a piedi nel deserto, perché i veicoli rischiano di sprofondare nella sabbia rimanendo inesorabilmente insabbiati. La più importante tomba del complesso è quella di Petosiride, sacerdotessa di Thot, e la tomba di Isadora i cui resti mortali sono esposti in una struttura di vetro. Visitiamo inoltre lunghissime gallerie sotterranee dove sono raccolte le mummie di uccelli sacri , babbuini e un’infinità di vasi….che impressione camminare lungo questi cunicoli! Dopo il nostro solito frugale pasto..si riparte cambiando più volte la scorta… a volte abbiamo due jeep, una davanti e una dietro…il deserto di sabbia si trasforma e diventa roccioso, alte pareti intorno a noi….e la strada non finisce più…poi finalmente EL- Baliana e la deviazione per Abydos, la strada si snoda per 14 Km verso il deserto occidentale Ci accoglie la facciata del tempio di Sethi I, proprio di fronte al nostro alloggio (l’unico in tutta la cittadina ), è la casa di Horus , diciamo che è un B&B egiziano. L’approccio esterno è scioccante, una scala stretta e sporca che ci porta al secondo e al terzo piano della palazzina…i commenti non mancano…fortunatamente l’interno si rivela decisamente meglio del previsto e qualcuno esclama…” ma è bellissimo!”.. addirittura moquette blu sul pavimento.L’accoglienza è calorosa e scopriamo ben presto che anche il cibo che ci offriranno nei prossimi tre giorni è delizioso (basta non fare troppe indagini su dove e come viene preparato! )
Viene offerta la possibilità a noi donne di andare dalla parrucchiera…..dove? come? Si rivelerà l’avventura più divertente ed emozionante del viaggio. Impossibile descriverla….sta di fatto che abbiamo trasformato in un attimo una squallida stanza ( e dire squallida è essere ottimisti! )..in una “discoteca” impegnando gli abitanti, una coppia con 4 figli..in danze del ventre e musica da disco…con foto, caffè, tè e pop corn.Non dimenticherò mai quelle ore!..e credo nemmeno loro!
Quarto giorno: sveglia non tanto presto..per fortuna…siamo in strada in attesa di Ezz…la cui puntualità è molto…egiziana!!! Si parte con tre scassatissimi taxi, in ognuno una guardia armata oltre alla scorta. Ci accompagna anche un responsabile dei beni archeologici del luogo. All’inizio la cosa sconcertava un po’, fatta poi l’abitudine…è anche divertente.
Ci si dirige verso una delle parti più antiche di tutta la zona archeologica che si chiama OMM el-Gabel che si trova dove la pianura alluvionale,ora desertica, incontra ad ovest le montagne di calcare. Si suppone che questo sito sia stato luogo di antichissime sepolture. Gli scavi, ancora aperti, fanno risalire i reperti a circa il 3000a.C. Vi si trovano un gran numero di vasi di terracotta, pezzi di ceramica e frammenti di pietra con incisi cartigli o parti di essi. Che emozione! Da qui andiamo scendendo verso nord, verso il sito di SCHUNET el-ZIBIB,caratterizzato da un’enorme cinta muraria costruita con mattoni crudi alta circa 12 metri e larga 4, che delimita un’area molto estesa. Ancora non è chiaro a cosa servisse. Visitiamo la tomba di OMM SETI…e qui sarebbe da aprire una parentesi…ma lascio ad altra sede la spiegazione di chi è.Proseguendo si incontra il luogo denominato Kom el-Sultan, ove si possono ritrovare le rovine del Tempio di Osiride. I laghetti presenti a Kom el-Sultan, completano l’area del tempio in questa zona archeologica accentuando il mistero del villaggio sepolto( El-Araba el Madfouna, nome arabo di Abydos che significa “il villaggio sepolto”) Al pomeriggio visita all’OSIREION,sepolto dalla sabbia, bagnato dalle acque,è e rimane un mistero. Peccato che lo stato di degrado in cui l’abbiamo visto..ci abbia veramente scioccati. Un passaggio veloce attraverso il Tempio di Sethi I…e finalmente dopo tanta cultura un po’ di relax. Abbiamo portato magliette, penne, notes per i ragazzi del paese, nonché tre coppe ..è stato quindi organizzato un torneo di calcio, noi gli ospiti illustri….un momento di vera spensieratezza per noi e anche per loro. Alla sera un tentativo di spettacolino fatto da una di noi che si esibisce, corredata anche di vestito adatto, in una danza del ventre..frutto di due anni di scuola italiana. Non male!
Quinto giorno: oggi visita del Tempio di Ramses II che ancora conserva intatti colori magnifici sulle pareti nonostante questi siano esposti alla luce del sole per il crollo del tetto.Grazie a queste testimonianze si può solo immaginare la magnificenza e l’energia che questo tempio appena costruito poteva trasmettere. Adesso finalmente entriamo nel Tempio di Seti I. La finezza e la delicatezza dei bassorilievi di questo tempio sono raramente riscontrabili in altri luoghi dell’Egitto. Non sono veramente in grado di esprimere la quantità e la qualità delle mie emozioni. Posso solo dire che è un luogo meraviglioso, carico di energia, rumoroso nel suo assoluto silenzio. Bisogna andarci per capire. Nel pomeriggio finalmente qualche ora di riposo. Alla sera, super scortati e anche con blocco della strada (12 militari tutti per noi ) ci ritroviamo a casa di Ezz con alcune personalità del luogo per discutere e cercare di capire i “misteri” di questo sito archeologico.
Sesto giorno: Sveglia alle 4.30, con i taxi ci portiamo alla stazione di El-Baliana, abbiamo prenotato il viaggio in treno fino a Luxor. E’ freddo…e il treno ritarda di SOLE due ore….quasi congelati sul marciapiede ci consoliamo bevendo tè e ricordando quanto già fatto. Finalmente arriva e con grande meraviglia è anche super bello (anche se non pulitissimo….siamo però in prima classe! ) arrivo a Luxor e subito, ritirati i bagagli con un pulmino andiamo a Karnak. Pur avendolo già visto due volte, resto incantata da tanta grandiosità…ma Ezz ci porta a fare un percorso…sconosciuto…dove nessuna guida ti porta e quindi anche per me è tutta una novità! La sera poi visitiamo in un tripudio di luci il Tempio di Luxor..che avevo sempre visto di giorno. Una meravigliosa foresta di colonne. Certo non mancano le emozioni! Siamo sfiniti!
Settimo giorno: sveglia presto, attraversamento del Nilo con feluca.Visita dei Colossi di Memnon, Medinet Habu e poi visita ad alcune tombe nella Valle delle Regine, degli Artisti e finalmente nella Valle dei RE. Molto discutibile per me la comodità di raggiungere il sito su trenini colorati tipo luna-park, non hanno niente a che vedere con la sacralità e il misticismo del posto. Non posso ricordare tutti i nomi delle tombe visitate ma so che non sono quelle convenzionali che avevo visto in precedenza. Sono bellissime! Disturbano NON POCO i vocianti e assillanti bambini che ti rincorrono ovunque. Guardiani con improvvisati “specchi” fatti di stagnola illuminano l’interno delle tombe per permetterci di ammirare in tutta la loro magnificenza i colori ancora vividi. Poi, quasi trascinandoci per la stanchezza e finalmente il caldo, visitiamo il RAMESSEUM. La scenografia è imponente, gli scorci ci fanno scattare centinaia di foto, la stanchezza dimenticata. Rientro a ritirare i bagagli in hotel perché stanotte la passeremo in treno (tutto un vagone letto prenotato per noi…ci sarà da divertirsi! ) Visto che ci restano un paio di ore, per non dimenticare il nostro bisogno di “cultura” andiamo a visitare il museo di LUXOR, decisamente meritevole di visita. ..Tutti in treno, cena, scherzi e poi una breve notte in cuccetta. Stavolta il treno arriva puntuale al Cairo….sono le 7.00 del mattino.
Ottavo giorno: Facce stravolte spuntano dagli scompartimenti, l’albergo sarà disponibile solo dalla sera…quindi si visita la Moschea di MUHAMMAD ALI…..anche se comincia ad essere difficile seguire le spiegazioni, poi MUSEO EGIZIO…quattro ore tra le meraviglie del mondo egizio….Finalmente pranzo lungo il Nilo….un attimo di riposo e poi non poteva mancare una capatina alla zona dei negozietti per gli acquisti. Cena formale dei saluti la sera, sveglia prima dell’alba per l’imbarco. Nell’attesa della partenza del treno a Roma, abbiamo ancora un residuo di forze per fare una passeggiata!
Ora resta solo la voglia di ritornare in quei posti meravigliosi, tante foto e tanti
racconti. 

IL VIAGGIO RACCONTATO DA: ANDREA

EGITTO

GIORNO 1:
Il caldo mattino padano inizia a farmi preoccupare. Chissa’ che temperature troveremo in Egitto, e’ pur vero che almeno questa umidita’ micidiale non e’ certo tipica nei luoghi desertici o Nord-Africani ma comunque resto un po’ pensieroso. Guardo le nostre valigie con il solito dubbio di aver dimenticato qualcosa, ma alla fine scopro da solo che la cosa e’ irrilevante. In fondo si va in un paese caldo, provvisto piu’ o meno di tutto e soprattutto con un viaggio organizzato in crociera sul Nilo.
Eh ! Lo so, lo so, viaggiare per diversi anni solo zaino in spalla anche nei luoghi meno frequentati di questo mondo, e poi ridursi a fare una crociera sul Nilo iper-organizzata puo’ essere interpretato come un improvviso colpo di sole o un rincoglionimento senile…. In realta’ nessuno dei due e per vari motivi: primo in una sola settimana che abbiamo a disposizione vediamo veramente un’infinita’ di luoghi che il viaggio auto organizzato non ci permetterebbe per via degli infiniti trasferimenti tra autobus e treni. In secondo luogo per la prima volta in vita mia cercavo un po’ di relax da abbinare al viaggio e Paola ha condiviso felicemente questa scelta. Terzo e NON ultimo ho 37 anni e non mi considero ancora un rimbambito se non per le varie patologie mentali che alcuni mi attribuiscono fin dalla nascita.
L’aereo ad ogni modo parte regolarmente, noi il nostro giro lo inizieremo dal Cairo ma chissa’ poi perche’ andiamo a Luxor a poi dobbiamo aspettare il volo serale per la capitale egiziana.
In realta’ quella che sembrava una scocciatura si e’ rilevata un piacevole intermezzo. Dall’aeroporto di Luxor infatti ci hanno trasferito sulla nave da crociera e, in attesa del volo serale, abbiamo goduto dei servizi di bordo, come la cabina dove cambiarci, la piscina, il pranzo e i lettini per prendere il sole e rilassarci alla leggera brezza del Nilo. La temperatura e’ piu’ che sopportabile e l’umidita’ milanese e’ solo un ricordo.
In realta’ noto con piacere che le persone che proseguono per il Cairo sono relativamente poche rispetto a quelle che si fermano a Luxor, ridacchio sotto i baffi a pensare che forse faremo un tour quasi personalizzato. Mi guardo un po’ in giro dalla sdraio a bordo vasca per identificare i possibili compagni di viaggio ma poi desisto, troppe le persone e troppo rilassante chiudere invece gli occhi e pensare che siamo qui per la prima volta in un luogo che trasuda da tutti i pori il proprio passato e mi perdo con lo sguardo sull’altra riva, la riva dei morti dove furono sepolti decine di re e regine e dove forse c’e ‘ ancora qualcosa da scoprire.
Chissa’ poi perche’ ho aspettato cosi’ tanto tempo ad andare in Egitto, per un appassionato di archeologia come me dovrebbe essere una delle prime mete, eppure c’era sempre qualche luogo molto piu’ lontano da scoprire e mi sono sempre detto per l’Egitto c’e’ tempo e’ qui vicino. Un po’ lo stesso discorso dell’Italia, la vicinanza dei luoghi mi ha spesso fatto rimandare. Eppure la cultura egiziana cosi’ come quella mesopotamica sono considerate da tutti in maniera inequivocabile la culla della nostra civiltà’, o almeno lo sono da quello che oggi conosciamo del nostro passato. Teorie recenti e un po’ azzardate infatti attribuiscono gli albori della civilta’ egizia ad un epoca molto piu’ lontana rispetto a quella tradizionale situata a poco meno di 5000 anni fa. Un’epoca cosi’ lontana da perdersi nel buio dei millenni quando in teoria la terra era popolata da poco piu’ che rozzi cacciatori vestiti di pellame, capaci forse pero’ di edificare le uniche meraviglie del mondo antico arrivate fino a noi: le piramidi. Furono capaci di allinearle in modo da rappresentare cio’ che vedevano nel cielo come i tre puntini luminosi e leggermente  fuori asse della cintura di Orione … e il Nilo li’ in mezzo con il suo sinuoso cammino ad identificare la Via Lattea. L’Egitto cosi’ non era altro che una enorme riproduzione di cio’ che abbiamo sulla testa un po’ come avere il cielo sulla terra.


GIORNO 2:
Ne avevo visti di alberghi di lusso nella mia vita, soprattutto, anzi solo durante i viaggi di lavoro, ma, parola mia, questo Intercontinental City Stars Hotel del Cairo li batte tutti. Due piscine con bar a bordo vasca o addirittura dentro l’acqua come isole ‘alcoliche’ dove dissetarsi.
Locali e ristoranti al coperto e all’aperto, sale fitness e SPA, musica serale e casino’ al piano inferiore, connessione diretta con il palazzo dei grandi magazzini, insomma una citta’ nella citta’. Non sono proprio abituato e mi sembra tutto un eccesso, soprattutto qui in Egitto, ma si sa al lusso ci si abitua in fretta.
Gia’ la mattina a colazione non so cosa scegliere, la colazione a buffet e’ tremenda e rischi sempre di prendere troppo e di tutto senza accorgerti che non e’ un pranzo ma una colazione … appunto. Ad ogni modo se tutti i problemi fossero questi, bhe’ ci metterei una firma.
Usciamo dall’albergo e inizia il mio senso di disagio, saliamo su un bus insieme alle altre persone che parteciperanno a questo tour, fortunatamente la media di eta’ e’ abbastanza bassa ma cio’ non toglie il mio sentirmi fuori posto o il mio disagio. Non sono abituato a viaggiare in gruppo, non sono abituato al tutto organizzato e soprattutto non sono abituato a sentirmi parte di un gregge. Il ‘pastore’ e’ una guida egiziana che parla benissimo italiano e  si chiama Essam, si dimostrera’ un ragazzo colto, simpatico e molto preparato. Io e Paola ci guardiamo un po’ in giro e subito notiamo che, in generale, il gruppo appare abbastanza eterogeneo. Iniziamo a scambiare qualche parola e dimentico presto il mio disagio che potrebbe anche essere scambiato per snobismo e questo proprio non mi va. In piu’ mi piace sempre l’idea di conoscere persone diverse con cui confrontarmi, anche se queste appartengono magari ad un ‘mondo’ un po’ diverso dal mio.
La prima tappa e’ la cittadella del Cairo, una fortificazione le cui origini risalgono ad epoca crociata, quando Saladino la edifico’ per difendere la citta’ stessa dalle incursioni dei “difensori della fede cristiana” e poi ampliata da dinastie successive come i mamelucchi.
La cittadella ospita la moschea di Mohammed Ali’, un sovrano che a partire dal 1830 modifico’ pesantemente l’area edificando la moschea che porta il suo nome.
Prima di arrivare l’autobus costeggia l’immenso perimetro della citta’ dei morti che è ancora oggi il segno del rapporto quotidiano tra vivi e defunti che segna la storia dell'Egitto dall'età dei faraoni. E’ un immenso cimitero musulmano dove un infinito numero di case pericolanti si aggrovigliano a tombe e mausolei di epoca storica. I derelitti del Cairo abitano qui e il cimitero paradossalmente si e’ animato di uomini e donne, di botteghe e di piccoli ristori, di strade impolverate e di carretti trainati da muli in un luogo dove dovrebbero abitare solo i fantasmi.
Non tolgo lo sguardo dal finestrino e Paola legge subito le mie intenzioni guardandomi con occhi interrogativi, del tipo “ non avrai mica intenzione di andare li dentro??” … eh si’, lo ammetto il pensiero corre veloce, forse troppo e le mie intenzioni si dipanano immediatamente sulla mia faccia che diventa a quel punto un libro aperto. Va bhe’ .. vedremo, vedremo …
L’arrivo al parcheggio della cittadella e’ contemporaneo ad altri autobus che vomitano turisti disciplinati in coda al proprio accompagnatore.
Anche noi seguiamo Essam e lascio in un cantuccio la mia anarchia turistica, in piu’ godiamo anche di spiegazioni dettagliate mentre da soli avremmo dovuto leggere un bel malloppazzo di pagine della guida, come la ‘chicca’ dell’orologio non funzionante donato dal re di Francia Luigi Filippo in cambio dell’obelisco che oggi abbellisce Place de la Concorde.
Essam all’interno della moschea si dilunga nella descrizione della religione musulmana, smitizzando un po’ alcuni luoghi comuni che arrivano da noi in occidente e facendo capire comunque che esiste una faccia molto piu’ tollerante dell’Islam e quella faccia noi ci ostiniamo a non vederla. Forse fa piu’ comodo cosi’, forse fa piu’ comodo identificare tutto l’Islam con l’estremismo religioso, forse noi ‘occidentali’ siamo sempre alla ricerca di un nemico a cui contrapporci per specchiarci cosi’ nella superiorita’ del nostro modo di vivere.
Forse e’ cosi’ ma non tutti sembrano convinti.
Dalla terrazza, che ospita anche un bel giardino, si gode una bellissima vista sulla citta’ del Cairo, tante case, i palazzi moderni, i minareti e laggiù in fondo perse nella foschia inquinata le piramidi !
Il pranzo e’ poco piu’ che una porcheria, consumato su un battello sul Nilo fatto apposta per turisti, non ricordo neanche quello che ho mangiato forse del pollo ma poteva anche essere antilope del deserto alla piastra.
Il museo egizio sa di vecchio, odora di muffa e polvere, decine di reperti accatastati, mobili con vetrine in cui fanno bella mostra manufatti descritti da una piccola targa ingiallita dal tempo, non c’e’ un ordine cronologico e quando ti fermi davanti ad una statua immensa sai che potrebbe essere della prima dinastia come di epoca tolemaica, eppure mi piace, mi piace il suo essere vecchio e impolverato e credo che in 50 anni non abbia subito molte trasformazioni se non nei sistemi di sicurezza.
Le sale dedicate a Tutankhamon sono le piu’ spettacolari i colori del trono, i gioielli, le bighe per i cavalli e l’immensa maschera funeraria valgono da sole un viaggio fino a qui, mentre per la sala delle mummie rinunciamo ad entrarci, visto che lo stesso Essam ne sconsiglia la visita e il pagamento di un ulteriore biglietto, le mummie del museo di Torino sono piu’ numerose e meglio tenute.
Il tardo pomeriggio lo passiamo a girovagare per il bazar all’aperto di Khan El Khalili, un groviglio di banchetti e negozi dove turisti e locali si mescolano nella prospettiva di qualche acquisto; spesso pero’ la merce e’ solo una vetrina per turisti con oggetti di scarso interesse e poco valore. Resta comunque una bella passeggiata e un bel modo per conoscere un po’ piu’ da vicino questa citta’.
La sera in albergo gironzoliamo per i vari locali dopo un’ottima cena, la piscina illuminata, la musica da discoteca e il lusso dell’hotel, in fondo anche questo vale il viaggio fatto fino a qui .. un po’ come per Tutankhamon!

GIORNO 3:
E arriva il giorno delle piramidi.
Nell’immaginario collettivo l’Egitto viene associato alle piramidi, ne sono il simbolo, la meta piu’ visitata, l’unica meraviglia del mondo antico giunta fino a noi. Eppure l’Egitto non e’ solo questo ma viene addirittura sminuito da questa associazione, tanto la sua lunga storia e le diverse dominazioni hanno prodotto un patrimonio artistico e culturale immenso, probabilmente neanche classificabile.
Facciamo la solita colazione pantagruelica prima di salire sull’autobus con il resto della truppa. Facciamo amicizia con un gruppetto di 4 ragazzi veneti con i quali c’e’ subito un buon feeling, con gli altri per il momento non si va oltre un ‘ciao’ o scambi di convenevoli… magari piu’ avanti…
La piana di Giza appare all’orizzonte come un’isola di pietra in mezzo al deserto circondata da un abusivismo edilizio spaventoso, case costruite a meta’, file di panni stesi tra una casa e l’altra, mancanza di intonaco, fogne a cielo aperto, corrente elettrica probabilmente abusiva e parabole satellitari ovunque. Mi sa che anche qui la politica dei condoni ha il suo bel tornaconto, con la differenza che questo sterminato ammasso di mattoni sta inglobando una delle opere piu’ straordinarie dell’uomo.
Arriviamo in bus all’ingresso posto nella parte alta della piana e, sempre in autobus, raggiungiamo un posto panoramico appena sopra la piramide di Micerino, in maniera da dominare l’intera area tra piramidi, la lontana sfinge, l’infinita distesa di case e alle spalle il deserto, le dune, la sabbia finissima, proprio nella sua immagine piu’ classica.
Qualche foto in giro anche ai beduini o presunti tali che portano in giro goffi turisti sulle spalle dei cammelli. Uno spettacolo pietoso ma con scene divertenti e poco gratificanti per il turista.
Ci avviamo lentamente sotto un sole che si fa sempre piu’ rovente verso la base della piu’ piccola delle piramidi, quella di Micerino. Finalmente tocco queste pietre millenarie, finalmente le vedo dal basso in alto dopo solo averne assaporato la visione sui libri o in televisione. I blocchi di pietra alla base sono immensi, inutile chiedersi come furono trasportati qui perche’ le teorie si sprecano, resta il fatto che l’uomo ha realizzato qualcosa di inimmaginabile. Scendiamo all’altezza della piramide di Chefren dove pagando un ulteriore biglietto accediamo alla camera interna. Il caldo e’ soffocante e l’umidita’ interna e’ quasi insopportabile, ma alla fine facciamo il nostro giro ‘claustrofobico’. Guardo di fronte e si erge cio’ che ha ispirato e stupito migliaia di persone, cio’ che ha colpito l’immaginario collettivo piu’ di qualsiasi altra opera dell’uomo (e qualcuno potrebbe anche commentare su questo): la piramide di Cheope. Purtroppo non possiamo entrare viste le prenotazioni e visto l’accesso cosi’ limitato; io e Paola ci limitiamo a girarci attorno, anzi la guardiamo da solo due lati perche’ fare l’intero perimetro a piedi sarebbe impegnativo, con questo caldo poi ….
Il bus ci porta all’ingresso principale dove una breve sosta refrigerante e’ piu’ che benvenuta. L’ingresso conduce direttamente all’area archeologica della sfinge attraverso una strada lastricata e un continuo assedio di venditori. Anche qui le soste si sprecano non tanto per il caldo ma per cercare la posizione migliore dove fotografare il volto di uno degli enigmi piu’ grandi che ci sono arrivati dalla storia. Chi rappresenta ? quando fu realmente costruita ? Secondo la scienza ufficiale non e’ altro che la proiezione del volto di Cheope, altri sostengono diverse teorie piu’ o meno complesse. Resta il fatto che la sfinge a li’ a testimonianza di un passato mai pienamente compreso e che sicuramente riserva molte piu’ sorprese di quelle che ci aspettiamo.
Bhe’ comunque ci facciamo fare una foto ricordo di noi due con alle spalle la sfinge  e come sempre, come al solito il fotografo improvvisato o ci taglia la testa o i piedi … va bhe’ rinunciamo ad una foto decorosa…
Le spiegazioni della restante parte archeologica di Essam sono abbastanza veloci e ci riavviamo lentamente verso il bus con un caldo tremendo ma comunque ancora sopportabile.
Altra tappa in un anonimo ristorante lungo la strada con un arredamento pacchiano che dovrebbe far pensare al lusso e che in realta’ nasconde, neanche troppo bene, sporcizia ovunque. Ancora una volta cosa abbiamo mangiato cade nell’oblio dei ricordi senza lasciare traccia.
La tappa pomeridiana e’ Menphi la capitale dell’antico regno (fino al 2200 A.C.). Essam ci spiega qualche dettaglio maggiore sulla visita e cerca anche di insegnarci a contare in arabo con il solo risultato che ognuno pronuncia a modo suo le parole a seconda dell’Italica provenienza.
L’antica citta’ si trova una ventina di Km dal Cairo e per arrivarci il bus costeggia per un tratto il Nilo per poi perdersi in una strada ai margini del deserto.
Menes, il faraone fondatore della prima dinastia e di Menphi (stando alla tradizione), fu anche l’unificatore dei due regni del Basso e dell Alto Egitto, ma visto che di questo mitico regno si perdono i ricordi nel buio della storia (si tratta di circa 5000 anni fa), l’attuale sito archeologico e’ ricco di reperti molto piu’ recenti come l’enorme statua di Ramses II del museo.
Con Paola ci soffermiamo a lungo sulle banchine sopraelevate per osservare la figura imponente di quello che e’ ritenuto il faraone piu’ importante di tutta la storia egiziana.
Saqqara e’ la necropoli di Menphi ed e’ situata ai margini del deserto, quando i fittissimi palmeti degradano verso le dune di sabbia e il nulla dell’orizzonte.
Ammetto che questo luogo mi ha sempre affascinato, quanto e forse piu’ della piana di Giza forse per la sua antichita’ o forse per il semplice fatto di ospitare uno dei primi tentativi di costruire piramidi nella storia egiziana.
Djoser fece costruire per se’ questo incredibile monumento funerario come una serie sempre piu’ piccola di mastaba sovrapposte creando l’effetto a gradoni ancor oggi visibile. L’idea in realta’ fu del suo architetto Imhotep, precursore forse di tutte le scienze mediche egizie.
Di tombe in questa area ne esistono molto come anche di piramidi incompiute o mezze diroccate, alcune hanno anche angoli di inclinazione diversi rendendo la geometria piramidale abbastanza bizzarra.
Usciamo verso orario di chiusura e la prospettiva della piscina dell’albergo allieta un po’ la calura del tardo pomeriggio.
In realta’ lo stare fermo e chiuso in albergo per quanto bello mi mette sempre un certo prurito ai piedi e quindi mentre Paola resta in piscina a godersi il sole rimanete della giornata, decido di uscire e contrattare con un taxi un passaggio alla piana di Giza.
Voglio fotografare le piramidi al tramonto senza entrare nel sito, credo che la posizione migliore sia l’ingresso basso dove c’e’ la sfinge con lo sfondo delle tre piramidi. Concordo per 80 lire l’intero tragitto che dura quasi un’ora, il traffico e’ tremendo e in alcuni tratti mi ricorda molto l’anarchia che spesso incontro in India, non sembra esserci nessuna regola e l’attraversamento pedonale diventa un’impresa impossibile o quasi. Ad ogni modo l’uscita dal taxi davanti al sito comporta un affollamento di gente attorno a me che chiede o vuole qualunque cosa, nonostante la situazione poco piacevole mi sento a mio agio, queste scene vissute in tanti luoghi mi riportano al viaggio vissuto come esperienza piu’ a contatto con la gente, senza essere trasportati da un luogo all’altro in un involucro trasparente come il bus e per il resto isolarsi tra le mura protettive del grande albergo. Non che questo sia per forza deprecabile ma e’ solo un modo diverso per concepire il viaggio ed in piu’, lo ammetto, questo albergo del Cairo e’ una vera favola. Mi perdo al solito tra i miei pensieri e la gente via via sciama fino a lasciarmi solo con la macchina fotografica al collo e posso finalmente dedicarmi a guardare io la gente, a sentire le voci a guardare dentro i negozi e capire che in fondo non si e’ mai soli veramente in questo mondo. Il sole basso all’orizzonte mi ricorda il motivo della mia presenza qui e un negoziante si offre per ospitarmi sul suo terrazzo che gode stando a lui di una splendida vista su tutta la piana. So gia’ che questa offerta non sara’ gratuita, ma accetto e passo una mezz’ora tra i panni stesi ad asciugare e la piacevole calura di fine giornata. Per la verita’ il tramonto non e’ un granché e il pallidume della luce si diffonde anche nelle mie foto senza lasciarmi quello stato di soddisfazione che raggiungo dopo una bella fotografia.
Il negoziante vuole farmi visionare il suo intero campionario di tappeti, ma me la cavo con una mancia ed un veloce ringraziamento.
Il resto del tempo lo dedico alla ricerca di un taxi che mi riporti in albergo e passo il tragitto a guardare dal finestrino le ombre della sera che si allungano in maniera smisurata fino a formare delle figure a volte divertenti.
Paola mi accoglie con una faccia interrogativa del tipo “Sei sopravvissuto ??” .. “Si, Si tutto bene, a parte che hanno cercato di vendermi di tutto, piramidi, incluse”.
In camera, dopo una doccia rigeneratrice, ecco che combino il danno: erroneamente cancello tutte le foto sulla mia macchina fotografica. Caccio un urlo di rabbia e adesso che faccio !?!? .. le foto alle piramidi, alla sfinge a Menphi e Saqqara, tutte perse …. Ma pian piano maturo un’idea o meglio trasformo una piccola tragedia in un’opportunita’ che potrebbe trasformare la giornata di domani in una giornata fai da te. Domani, infatti, c’e’ in programma un giro delle chiese Copte del Cairo e poi pomeriggio libero, noi dopo la visita a quella chiamata “la Sospesa” potremmo sganciarci dal gruppo e raggiungere in maniera autonoma di nuovo Giza e Saqqara! Paola mi guarda come se avesse gia’ intuito le mie intenzioni … bhe’ nulla di meglio che la buonissima cena in albergo per spiegargliele.

GIORNO 4:
La chiesa copta e’ una delle chiese cristiane d’oriente con liturgie simili a quella ortodossa. Fondata nel I secolo dopo cristo in Egitto, ha resistito per diversi secoli all’islamizzazione della regione ed ora vanta una serie di chiese molto interessanti nella parte vecchia del Cairo.
Iniziamo il giro con la chiesa chiamata “la sospesa” che vanta bellissime icone ed un soffitto che sembra lo scheletro di una nave girata.
La successiva in cui entriamo e’ quella di San Sergio che racchiude la grotta dove soggiorno’ la sacra famiglia in visita in Egitto.
Tutto bello e interessante ma … ho fretta di mettere in pratica il mio progetto e ne parliamo con Essam, il quale sembra un po’ stupito dalla nostra intenzione di staccarci dal gruppo per tornare a Giza e Saqqara ma alla fine ci da anche qualche buon consiglio in merito alle tariffe dei taxi.
Usciamo abbastanza velocemente dalla zona copta e incrociamo subito una strada a grande percorrenza dove fermiamo un taxi. Ci accordiamo per portarci prima alla piana di Giza e poi a Saqqara in maniera da avere un prezzo migliore. Decidiamo di saltare Menphi per problemi di tempo … peccato quelle belle foto alla statua di Ramses II perse per sempre.
Il caldo si fa sentire e come al solito ci troviamo a visitare un luogo nel momento peggiore della giornata: mezzogiorno. Paola decide di restare fuori per evitare di rivedere le stesse cose solo per rifare le foto, ma anche per non ripagare il biglietto di ingresso. Mi riavvio lentamente dall’ingresso basso verso le piramidi e sinceramente la salita in queste condizioni climatiche e’ veramente provante. Mi aggiro per una ventina di minuti tra quelle di Chefren e Cheope cercando di includere anche qualche volto di passaggio tra quelle pietre millenarie. Pian piano incomincio la discesa verso la sfinge, dove mi fermo il tempo necessario di raggiungere una certa soddisfazione per le foto fatte. poi mi avvio verso l’uscita dove Paola mi ha aspettato per quasi un’ora. La faccia e’ quella del tipo:  “ ma cosa mi tocca fare per amore …” , non so neanche se ha subito l’abbordaggio di decine di egiziani, ma in ogni caso dopo una sosta al bagno riprendiamo il taxi in direzione Saqqara. Passiamo quasi un’ora nel vecchio taxi ripercorrendo zone gia’ parzialmente viste il giorno precedente, solo che in questo caso nessuno sembra far caso a noi, mentre il giorno prima un bus pieno di turisti suscitava maggiore interesse, non dico curiosita’ perche’ da queste parte di turisti ne vedono a tonnellate. Ecco di nuovo i palmeti ed ecco di nuovo il deserto. Facciamo velocemente i biglietti ed entriamo in un sito quasi vuoto se si eccettua una rumorosa comitiva giapponese. A differenza di Giza, Saqqara non e’ affollata e’ completamente isolata dai rumori e dalla vicinanza di una citta’, ha quell’odore di antico che Giza ha ormai perso immersa com’e’ in una metropoli immensa come Il Cairo. Nessuno ti assilla con richieste assurde o improponibili, nessuno ti nota, ti sembra di essere veramente da solo. Passiamo un’oretta in pace, senza una meta o un orario da rispettare e poi ci avviamo lentamente verso l’uscita non sapendo ancora che il ritorno sarebbe stato molto piu’ lungo del previsto.
L’auto inizia a dare dei problemi gia’ alla partenza quando sbottando e fumando si mette in moto, ma non fa molta strada e si ferma qualche km piu’ in la’. Il taxista si improvvisa meccanico e l’auto dopo qualche calcio ed un po’ di acqua nel radiatore riparte per poi fermarsi definitivamente lungo una strada poco battuta alla periferia sud del Cairo.
Questa volta non ne vuole sapere, non riparte proprio e noi scendiamo dall’auto per evitare di cremare dentro.
Ci fa un cenno di sconforto visto e mentre lui cerca di riparare il danno, qualunque cosa fosse, noi ci incamminiamo lentamente lungo il ciglio della strada per arrivare ad un baracchino dove prendere qualcosa da bere.
Qui si che di turisti ne vedono pochi, ci sono 4 ragazzotti intenti a fumare
e quando arriviamo si prodigano nel pulirci un tavolo tra i tanti disponibili, anzi oltre a noi non c’e’ proprio nessuno. In tutti i posti che ho visitato esiste una costante nell’ampia gamma di beveraggi disponibili: la Coca Cola e la Mirinda. Della seconda poi ne esistono numerose varianti, al gusto banana, limone, fragola (ma non sono sicuro) e diverse altre possibilita’.
In realta’ si tratta di un tale concentrato di zuccheri e coloranti da lasciare la bottiglia colorata sulla sua superficie interna una volta svuotata dal suo contenuto.
Non e’ un gran sollazzo per lo stomaco, ma in ogni paese io ne ho provato una e l’Egitto non voglio che diventi certo l’eccezione, l’unico problema e’ che la stappano e puliscono il collo della bottiglia con la manica della camicia. In piu’ sembra scaduta da dieci anni….speriamo bene.
Il pergolato in plastica rotta attenua un minimo la calura e la mia Mirinda, dopo averne bevuto un paio di sorsate, viene allegramente abbandonata sul tavolino, questa versione e’ troppo dolce e di sapore indefinibile. Paola se la cava con un the’ alla menta. Aspettiamo una mezz’ora prima di ricacciarci in strada e vedere qual’e’ la situazione dell’auto ma sembra ancora tutto il alto mare. Anche volendo prendere un altro taxi, qui non ne passano molti anzi praticamente nessuno, ed in piu’ ci scoccia abbandonare il poveretto anche se non possiamo fare molto per aiutarlo.
Fortunatamente si ferma un furgone il cui autista e’ un meccanico e cosi’ dopo un po’ riusciamo a ripartire singhiozzando.
Altro problema, il nostro autista non sa o non capisce quale sia il nostro Hotel, quindi ci facciamo lasciare in una zona centrale del Cairo nelle vicinanze del Nilo dopo inutili tentativi di spiegargli la nostra meta. Vaghiamo cosi’ a piedi per qualche minuto senza una meta precisa ma in attesa di qualche taxi da fermare.
Finalmente troviamo qualcuno che sembra sapere dov’e’ ‘sto benedetto Intercontinental City Stars e saliamo. Bhe’ diciamo che all’hotel ci arriviamo molto velocemente nonostante non sia proprio vicino e il traffico sia molto caotico. Taglia le rotonde in contromano, sale sui marciapiedi, punta diritto sui pedoni che attraversano e dove c’e’ libero, raggiunge velocita’ impensabili per una simile carretta. Ci sono momenti che temiamo di non arrivare sani, ci sono altri dove ringraziamo il traffico che permette di ridurre la velocita’, ci sono altri ancora dove l’ennesima sigaretta accesa provoca sbandamenti improvvisi al mezzo guidato con le ginocchia (una mano per la sigaretta e l’altra appoggiata fuori dal finestrino). E’ con estremo sollievo che pago il conto ormai a pomeriggio inoltrato ed e’ con estremo sollievo che raggiungiamo la piscina per le ultime ore di sole soddisfatto di essere riuscito a ritagliarmi una giornata completa ‘fai da te’ anche in un viaggio organizzato nei minuti come questo.

GIORNO 5:
La sveglia suona presto, molto presto ….
E’ tempo di lasciare questo bellissimo hotel e trasferirci in aereo ad Abu Simbel uno dei luoghi simbolo dell’Egitto e patrimonio del mondo intero, situato nell’estremo sud quasi al confine con il Sudan.
L’aereo e’ di una compagnia ucraina e facciamo i debiti scongiuri prima di salire, in realta’ e’ abbastanza nuovo e il panorama delle dune desertiche sottostanti e’ spettacolare. Qualche sobbalzo di troppo ci tiene spesso in agitazione, ma il tutto passa tra le gran risate mie e di Paola quando un “genio” del nostro gruppo arriva a fare una domanda ad Essam che mai nessuno si sarebbe aspettato….
Il paesaggio desertico non e’ tutto uguale ma un’infinita distesa di sabbia e di dune tutte diverse e dalle forme alcune volte bizzarre, anche dall’aereo non si vede la fine e non si vede l’inizio di questo meraviglioso ‘nulla’.
Spesso si notano lunghe strisce nere tra le dune che sembrano strade, mentre sono piu’ semplicemente sentieri recenti e non ancora ricoperti dalla sabbia, qualche volta ombre, alcune altre zone pietrose …. Bhe’ il ‘genio’ chiede “ma sono le linee di confine ??” come se un confine fosse tracciato con un aratro nel deserto, decine di volte con linee che si intersecano tra di loro… Essam lo guarda stupito poi si riprende ed abbozza una risposta cercando di trattenersi dal ridere, cosa che io e Paola non ci risparmiamo di certo.
La vista del lago Nasser dal cielo e’ incredibile per la sua vastita’ e per le sue infinite diramazioni, creato per mano dell’uomo e di quella grande opera ingegneristica costituita dalla diga di Assuan. Chissa’ quanti e quali tesori sono stati sepolti per sempre dalle acque del lago una quarantina di anni fa, quando il presidente egiziano Nasser in collaborazione con l’Unione Sovietica, realizzarono questo gigante di cemento. Ora le piene stagionali del Nilo sono piu’ controllate, c’e’ una minor dipendenza dai capricci di madre natura ed in piu’ la diga e’ anche fonte di energia elettrica. Sembra tutto positivo, ma in fase di realizzazione non si tenne conto del tremendo impatto ambientale su un ecosistema (uomo incluso) che sopravviveva in quel modo da millenni ed in piu’ molte opere dell’uomo andarono perdute per sempre. Molti templi e luoghi di interesse furono spostati invece dai loro luoghi di origine per metterli al sicuro dalle acque del lago, uno di questo e’ Abu Simbel. Niente in Egitto ci ha lasciati sbalorditi come questi due templi in roccia, giganteschi, ricavati nel fianco della montagna, come gigantesco fu il lavoro dell’uomo per costruirlo e, in epoca piu’ recente, per spostarlo pietra dopo pietra fino a qui dove si trova ora.
Ramses II volle edificare questo luogo per intimorire con la sua mole i vicini Nubiani ed in piu’ volle celebrare al suo interno, con un ricchissimo insieme di geroglifici e bassorilievi, la presunta vittoria di Kadesh contro gli Ittiti (vittoria probabilmente mai avvenuta e di esito storico incerto, ma come si dice la pubblicita’ e’ l’anima del progresso … il suo in questo caso).
Le quattro enormi statue all’ingresso sono oggetto di mille fotografie e noi due restiamo come inebetiti a guardarle per un tempo indefinito, neanche il caldo torrido riesce a distogliere il nostro sguardo perennemente all’insu’.
Il tempio minore e’ dedicato alla moglie Nefertari ed e’ composto da sei statue poste al suo ingresso, quattro sono dello stesso Ramses II e due di Nefertari, resta un luogo meraviglioso nel suo complesso ed in ogni dettaglio tanto che solo dopo un’ora e mezzo dal nostro ingresso riusciamo a trascinarci fuori, verso l’uscita dove ci attende il resto del gruppo accaldato ed in cerca di qualsiasi cosa faccia un po’ di ombra.
Riguardo le foto nel display e mi accorgo che nelle ultime un’ombra costante e’ sempre presente nella parte alta dell’immagine: non c’e’ dubbio e’ entrata della polvere o un minuscolo piumino che ha passato l’otturatore della macchina fotografica, probabilmente mentre cambiavo gli obiettivi. Ora che faccio !?!? Questa cosa mi rovina gia’ la mattinata passata in questo posto unico e Paola mi guarda male giudicando incomprensibile la mia incazzatura. Forse ha ragione, forse dovrei pensare di piu’ a cio’ che ho potuto vedere, ma proprio non ce la faccio, o perlomeno non ce la faccio finche’ non vedo l’aereo che ci portera’ un po’ piu’ a Nord ad Assuan, luogo dove c’e’ la diga e dove ci imbarcheremo sulla motonave per la crociera.
Air Menphis !?! E chi l’ha mai sentita ‘sta Air Menphis …
Uno scassone grigio che avra’ almeno una trentina d’anni, forse di piu’, saliamo e non c’e’ una cosa in ordine, odore di vecchio, oblo’ opachi, non funzionano le luci e i sedili sono in quella posizione fissa da chissa’ quanti anni. Il volo e’ breve, ma e’ come andare sulle montagne russe, inversioni continue abbassamenti di quota improvvisi ... insomma una volta sbarcati baciamo la terra sotto i nostri piedi.
La fermata con il bus sopra la diga e’ breve, giusto una panoramica a 360 gradi sopra questo enorme serpente di cemento e poi si riparte verso la zona di imbarco ma, non della motonave, bensi’ di piccole imbarcazioni che ci porteranno all’isola di Philae.
Come per Abu Simbel, rimaniamo a bocca aperta, questa isoletta in mezzo all’acqua ospita un insieme di monumenti che hanno attraversato tutta la storia millenaria dell’Egitto; in origine era ritenuta luogo di sepoltura di Osiride e come tale solo i sacerdoti vi accedevano, poi nei secoli successivi fu invece meta di continuo pellegrinaggio religioso, fino ad arrivare alle costruzioni piu’ ‘moderne’ di epoca Tolemaica ed infine Romana. Ancora una volte gli infiniti bassorilievi la fanno da padrone e ancora una volta mi ricredo sulle aspettative di questo viaggio: i luoghi piu’ belli sono proprio qui nell’Alto Egitto, la piana di Giza per quanto monumentale e antica e’ arida e vuota di espressione, qui ogni geroglifico, ogni bassorilievo ti parla e ti racconta la sua storia. Alcuni dei piu’ grandi, sulla facciata del tempio principale, sono stati scalpellati e parzialmente distrutti da faraoni successivi a quelli dell’edificazione e, soprattutto, dalla furia iconoclasta dei primi seguaci della religione cattolica e di quella successiva dei musulmani. Resta un bellissimo spettacolo incorniciato dalla calda luce del tardo pomeriggio.
Ci riavviamo lentamente verso la barca che percorre velocemente il tratto che ci separa dalla terraferma in acque cristalline e molto pescose a giudicare dal movimento frenetico delle innumerevoli feluche … che differenza rispetto al putridume del Nilo lassu’ al Cairo.
Arriviamo velocemente alla nave con cui faremo l’ultima parte del viaggio, vale a dire la crociera da Assuan fino a Luxor.
La nave e’ molto bella ed e’ sostanzialmente la stessa che vedemmo il primo giorno, come molto bella e spaziosa e’ la nostra cabina compresa di minisalottino.
Io sto ancora pensando alla mia macchina fotografica e mi viene l’idea di smontare l’obiettivo, aprire al buio, come per scattare una foto, l’otturatore e soffiarci dentro ma niente non funziona …. Ad un certo punto e’ Paola la promotrice di un’idea che puo’ effettivamente risolvere il problema. Me la espone a patto di prendere un altro gatto e allargare la nostra ‘famiglia’… per amore della macchina foto cedo sostanzialmente usiamo il phon in bagno al posto di soffiarci dentro e magicamente … funziona !!!!!
La cena sulla nave e’ un buffet ricchissimo e molto variegato e la passiamo, come il resto della serata, con i nostri nuovi amici veneti.

GIORNO 6:
La lenta navigazione notturna culla il sonno piu’ profondo che solo la sveglia alle 6 di mattina interrompe bruscamente. Ci attende lo sbarco verso le 7:30 per visitare il tempio di Kom Ombo e molti del gruppo mancano all’appello avendo preferito rimanere tra le coperte.
Il tempio, di epoca tolemaica, fu dedicato al dio coccodrillo Sobek e al solito dio falco Horus, presente anche a Philae e ad Abu Simbel. Le imponenti colonne con i capitelli a forma di fiore di loto ci appaiono subito dopo lo sbarco. Ancora una volta ci perdiamo tra le veloci spiegazioni di Essam e il girovagare senza meta tra i resti del tempio e il suo museo che annovera numerose mummie di … coccodrillo!
Riprendiamo la navigazione in direzione di Luxor passando il tempo tra la piscina e le foto ai meravigliosi paesaggi lungo le sponde del Nilo.
I contrasti tra il verde dei palmeti lungo le rive, il riflesso dell’acqua calma del Nilo e le dune del deserto crea un paesaggio degno di un quadro soprattutto, quando, dalle rive stesse, sbucano persone intente a lavorare o pescatori che spingono al largo la loro piccola feluca.
La nave procede lentamente e questo paesaggio scorre lentamente sotto i nostri occhi, a volte con piccole modifiche altre con delle brusche interruzioni come improvvisi muraglioni di roccia che dal deserto precipitano nel fiume.
L’approssimarsi di alcune case indica che stiamo arrivando a Edfu il tempio dedicato a Horus il dio falco.
Ancora una volta non tutti scendono per la visita e ancora una volta ci troviamo di fronte ad un tempio simile a Philae di epoca tolemaica ma molto piu’ imponente nelle dimensioni e soprattutto nella ricchezza di bassorilievi.
In alcuni casi si vedono ancora i colori originali soprattutto nei fregi piu’ alti.
Ancora una volta, infine, il rientro e il lento navigare conciliano con il mondo e la leggera brezza favorisce il pieno rilassamento dei sensi in quel panorama dai forti contrasti.
La chiusa di Esna incuriosisce un po’ tutti tanto da attirare una piccola folla sul ponte. Le operazioni di attraversamento sono molto lente e la motonave entra in spazi poco piu’ grandi della sua larghezza. Si entra attraverso una chiusa aperta che poi viene di nuova serrata alle nostre spalle, il livello dell’acqua viene fatto alzare fino a raggiungere quello del fiume a valle e poi viene aperta la chiusa frontale in maniera da far passare la nave.
Un’operazione mica semplice, alla quale partecipa tutto l’equipaggio senza pero’ dannarsi troppo l’anima.
Le ombre della sera si allungano e preannunciano il tramonto che diffonde una colorazione su tutto il paesaggio dal giallo fino al rosso intenso chiudendo magicamente questa giornata dai mille colori e contrasti. Tramonti belli ne ho visti in vita mia, cosi’ intensi pochi per la verita’, quasi come quello di Santorini ... ma questa e’ un’altra storia.
  
GIORNO 7:
La mattina ci svegliamo che siamo gia’ attraccati a Luxor, l’antica Tebe.
La giornata come al solito e’ gia organizzata e colma di impegni. La mattina andremo nella riva Ovest di Luxor, ovvero nella sua necropoli, sulla riva dove tramonta il sole e la vita.
La valle dei re fu scelta come luogo di sepoltura della classe regnante per tutto il medio regno, il tempo delle piramidi e mastabe era finito, forse per questioni legate all’enorme sforzo economico e organizzativo richiesto o forse, molto piu’ probabilmente, per cercare di arginare i sempre piu’ frequenti ladri di tombe. Il luogo e’ una valle calcarea pressoché desertica nella quale furono scavate decine di tombe di faraoni, mentre le regine furono sepolte in una valle vicina, come del resto i nobili.
Il biglietto di ingresso e’ valido per la visita di tre tombe, esclusa quella di Tutankhamon.
Essam ce ne sconsiglia la visita, in quanto e’ una tomba spoglia e abbastanza piccola. In effetti quelle di Tutmosi III e Ramses IV sono ricchissime di disegni e geroglifici colorati e non ancora consumati dalle infiltrazioni d’acqua e dall’umidita’.
Tutankhamon e’ forse uno dei faraoni piu’ noti di tutta la nomenclatura egizia seppure nella storia millenaria di questo paese e’ stato solo una piccola comparsa e forse nemmeno quella. E’ ovvio pero’ che il suo nome e’ legato ad una delle piu’ grandi scoperte archeologiche di sempre, mai era stata trovata una tomba intatta e le sue immense ricchezze sono oggi conservate al museo del Cairo.
Forse nemmeno Howard Carter pensava di trovare una tale quantita’ di oggetti dal valore inestimabile.
Io stesso mi chiedo se il corredo funebre di Tutankhamon e’ cosi’ incredibile, chissa’ come doveva essere quello di faraoni ben piu’ importanti e longevi di lui. Probabilmente la risposta e’ persa per sempre tra i secoli di saccheggio e distruzione che questo luogo ha subito.
Il caldo e’ tremendo e il trenino che ci accompagna lungo il wadi e’ una benedizione, anche se mi sembra tanto degno del villaggio vacanze.
A parte la visita delle tombe il resto del tempo lo dedichiamo ad osservare l’improbabile gioco a guardia e ladri tra il personale di sorveglianza ed i turisti (per la verita’ quasi tutti italiani) che scattano fotografie anche dove non e’ consentito, ovvero agli affreschi delle tombe. In realta’ non ho mai ben capito questo divieto, una foto senza flash non danneggia proprio nulla se non il venditore di cartoline all’esterno … come al solito mi sa che sotto sotto si nasconde il solito motivo economico piu’ che di tutela del patrimonio artistico.
La valle delle regine e’ a poca distanza, ma la tomba della regina Nefertari non e’ visitabile purtroppo perche’ e’ in fase di ristrutturazione. Peccato, dalle immagini che avevo visto e dai vari commenti e’ sicuramente una delle piu’ belle tombe ipogee affrescate di tutto l’Egitto. Il trenino ci porta a Deir El Bahari dove visitiamo il complesso funerario della regina Hatshepsut, una delle poche regine che hanno realmente governato l’Egitto (come Cleopatra del resto). La struttura e’ composta da edifici colonnati posti su terrazze comunicanti attraverso delle scalinate ed e’ qui che nel novembre del 1997 furono trucidati 60 turisti da gruppi estremisti islamici. Mi percorre un brivido a pensare a quell’episodio dove le persone furono uccise a colpi di mitra e poi finite con i pugnali. Pare che il massacro sia durato 45 minuti.
Non faccio accenno di quell’episodio con Paola che e’ abbastanza suscettibile a questi argomenti ma, ogni tanto ho dei flash su delle foto dell’epoca in cui rivoli di sangue scendevano dalle gradinate del tempio di Hatshepsut.
Quando riesco a distrarmi da questi pensieri e’ gia’ ora di scattare qualche foto a questa meraviglia architettonica sotto un cielo azzurro talmente terso da sembrare tirato ad olio. In alcuni rilievi e’ ancora visibile il colore, mentre in altri non resta che un abbozzo del disegno originale.
In autobus facciamo una breve sosta per vedere i colossi di Memnon edificati da Amenhotep III a guardia del suo santuario funebre e poi riprendiamo il percorso inverso ritornando alla riva orientale del Nilo.
Dopo un breve pranzo a bordo siamo di nuovo in giro per rovine, anche se questa volta e’ il turno del secondo luogo piu’ visitato di tutto l’Egitto dopo Giza: il tempio di Karnak.
Costruito in epoche successive a partire dalla XII dinastia, e’ un quadrilatero enorme di cui solo una parte e’ visitabile ed e’ costituita dal tempio dedicato ad Amon Ra.
Appena entrati ci perdiamo in una foresta di colonne immense completamente coperte di geroglifici e scene di vita o rituali, talmente alte e fitte da oscurare il sole che non penetra fin quaggiù. Il loro apice sembra solo il cielo e per abbracciare la loro base ci vogliono piu’ di 14 persone. Vaghiamo cosi’ in questa foresta di pietra spesso con il naso all’insu’ fino ad uscirne solo per ritrovare un sole accecante che illumina un’infinita distesa di ruderi, statue, obelischi e pareti che un tempo dovevano costituire templi o portici sacri e che ora sono oggetto di un minuzioso lavoro di ristrutturazione. Arriviamo nei pressi del lago sacro non prima di aver scavalcato decine di resti e attraversato archi di pietra che non conducevano a nulla, ma che un tempo erano l’ingresso di qualche luogo sacro, ora perduto per sempre.
Anche noi ci uniamo alla folla che gira in senso orario attorno alla statua gigante di Khepri, lo scarabeo sacro, forse alla ricerca di un desiderio da esaudire o forse piu’ semplicemente per non perdere questa possibilita’ seguendo il motto del “non si sa mai” …
Il percorso di ritorno e’ appositamente lento perche’ ogni angolo nasconde una nuova scoperta o semplicemente sembra appositamente studiato per una bella fotografia, come il viale di sfingi dal corpo di leone e testa di ariete, oppure la solita gigantesca statua di Ramses II, figlia della sua solita megalomania o qualche bel colore ancora presente lassu’ in alto, posizionato esattamente dove il sole pomeridiano ti entra direttamente negli occhi.
Vorrei fermarmi di piu’, ma il tempo scorre e riusciamo ad arrivare al tempio di Luxor solo nel tardo pomeriggio e la visita, al solito, sara’ un po’ troppo veloce.
Il solito viale di sfingi ci accoglie nell’ingresso nord dove le solite statue sedute gigantesche di Ramses II fiancheggiano la porta di accesso. Di obelischi ne rimane uno solo mentre il secondo da bella mostra di se’ a Place de la Concorde a Parigi.
Una delle particolarita’ di questo luogo e’ che quando fu abbandonato in epoca araba le sabbie lo ricoprirono tutto o parzialmente e furono edificati sopra degli edifici tra i quali la moschea di Abu El Aggag che sovrasta oggi il cortile delle colonne.
Anche in questo caso ci aggiriamo tra le varie statue e geroglifici presenti sul luogo non trascurando una delle raffigurazioni piu’ famose come quella del faraone che riunisce l’Alto e Il Basso Egitto simboleggiati dal fior di loto e dal papiro.
In ultimo esistono anche delle raffigurazioni di origine cristiana su pareti molto piu’ antiche, segno che parte di questo luogo e’ stato riutilizzato come luogo di culto da diverse religioni.
Usciamo che il sole del tramonto illumina in maniera uniforme ogni angolo del luogo, ogni statua, ogni raffigurazione sembra prendere vita da questa colorazione gialla uniforme e questo insieme monocromatico sembra voler estendere un lungo braccio verso il Nilo e sparire sulla sponda opposta, la riva dei morti.
Dopo cena decidiamo di andare a fare una passeggiata nel suk di Luxor in cerca di qualche ricordo di questo paese da portare a casa. Usciamo che’ e’ gia’ buio, ma le strade sono molto animate e il percorso di andata lo facciamo a piedi lungo il Nilo nonostante la strenua opposizione di qualcuno che voleva andare in carrozza o in taxi al peggio.
“ma non e’ che ci rapiscono ??” …  “Ma restiamo tutti insieme vero??” … “Ma non e’ che ci perdiamo??” … La mia tolleranza ha abbondantemente superato il limite (sempre molto basso per la verita’ in questi casi) e presto io e Paola ci stacchiamo per entrare nel suk e perderci un po’ tra la gente.
Non sappiamo bene neanche noi cosa cercare se non guardarci in giro senza una meta fissa.
Alla fine pero’ un’altra maschera abbellira’ la nostra parete di casa, in particolare e’ quella del faraone eretico Akhenathon.
Un vecchio rigattiere tenta di venderci delle monete antiche di epoca Alessandrina e Romana, ma, a parte la cifra spropositata che chiede, non mi sembra corretto portare fuori dal paese di appartenenza simili reperti per quanto non di inestimabile valore e di dubbia provenienza.
Alla fine il suk si svuota restano poche persone e le botteghe chiudono le serrande, facciamo ancora qualche giro approfittando del chiarore intenso della luna piena, ma quando sentiamo echeggiare i nostri passi nei vicoli ormai vuoti capiamo che e’ ora di tornare e facciamo il percorso inverso lungo il Nilo finalmente assaporando un po’ di pace e di silenzio in questo luogo millenario.

GIORNO 8:
Per una volta i ritardi e i disguidi aerei fanno la nostra fortuna.
Ci informano che il nostro volo di ritorno, previsto in mattinata, e’ stato spostato verso il tardo pomeriggio. Sinceramente me lo aspettavo, succede sempre cosi’, ma almeno non siamo distanti dall’aeroporto e soprattutto non siamo in aeroporto!
Al solito ci offrono una cabina per i nostri bagagli e decidiamo insieme ai nostri amici veneti cosa fare.
La mia idea iniziale di andare in taxi al tempio di Dendera è accantonata perche’ dista 70Km da Luxor su strade non proprio asfaltate e il tempo non ci permette di andare, visitare il luogo e tornare con calma.
Allora decidiamo di visitare il museo di Luxor e poi in taxi di andare nella valle dei nobili ed entrare in qualche tomba particolarmente ricca di affreschi.
Il museo per la verita’ non offre nulla di speciale se non per qualche reperto e descrizione piu’ dettagliata sulla civilta’ nubiana che per secoli ha conteso il predominio egizio su queste terre e piu’ a sud verso il Sudan.
Il taxista non parla molto l’inglese ma riusciamo lo stesso a capirci e farci portare alla biglietteria di ingresso per la valle dei nobili. Rifacciamo il percorso di ieri in bus, ma questa volta riusciamo piu’ a goderci il paesaggio le scene di vita lungo il Nilo e tra i palmeti la vita quotidiana della gente di queste parti in definitiva. L’ingresso e’ regolato da una biglietteria molto distante dalla valle dei nobili, pero’ nel costo di ingresso sono comprese anche altre visite come quella per il complesso templare di Medinat Hau..
Arriviamo in macchina ai piedi di una collina argillosa e desertica, tenendoci alle spalle il Remsseum, sulla quale spiccano case mezze diroccate e qualche recinto per gli animali. Incredibile, l’abusivismo edilizio ha consentito di sviluppare un villaggio proprio sopra la necropoli, molte case sono state abbattute, ma molte altre sono abitate. Ci arrampichiamo su una ripida scarpata fatta di ciottoli su terreno desertico e dei bambini ci vengono incontro proponendoci di guidarci alle tombe.
Non c’e’ nessun turista, non c’e proprio nessuno, siamo solo noi e i bambini, il resto e’ silenzio si sente addirittura il nostro respiro affannoso in salita sotto un sole cocente. Arriviamo a quello che sembra essere l’ingresso per l’inferno, un buco nel parete rocciosa molto profondo e senza una illuminazione; l’odore di vecchio e di umidita’ che si respira lascia senza fiato soprattutto in funzione della temperatura esterna estremamente calda ma anche molto secca. La guida e’ anche il guardiano del luogo e finalmente dopo un tratto anche al buio arriviamo in una stanza illuminata con soffitto a volta completamente affrescato con viti.  Mi perdo a guardare l’infinita’ di grappoli d’uva molto ben conservati nei colori e nei dettagli, come mi perdo ad osservare i meravigliosi affreschi della sala laterale nella quale il nobile Sennefer, cosi’ si chiamava, e’ ritratto insieme alla moglie.
Usciamo visibilmente soddisfatti, anche Paola e’ entusiasta e sicuramente una visita qui vale molto piu’ che una qualunque tomba della valle dei re. Procediamo oltre, di tombe ce ne sono circa 400, noi ne vorremmo visitare almeno altre due e ancora una volta rimaniamo incantati dalle scene di vita quotidiana affrescate sulle pareti, i vasai, i costruttori, i commercianti, dagli animali come le pantere, i leoni, gli elefanti e i cammelli, migliaia di figure e tantissimi colori ben visibili (tomba di Rekhmire) e … ancora una volta nessuno, nessuno a vedere questo spettacolo, siamo solo noi e il silenzio di questa valle di morti.
Arriviamo in taxi a Medinat Habu, un complesso templare enorme famoso in particolare per il tempio funerario di Ramses III, ma comunque utilizzato e ingrandito anche da sovrani di epoche più recenti. Ancora una volta non c’e’ praticamente nessuno e possiamo goderci il luogo in perfetto silenzio. La cornice della montagna tebana alle spalle e il Nilo a poca distanza ne fanno un luogo unico, con decorazioni e colori vivissimi, senza eguali in tutte le nostre visite. E’ un peccato che un luogo come questo sia poco visitato e addirittura trascurato, se non fosse stato per il ritardo aereo anche noi avremmo perso uno dei piu’ bei siti visti fino ad ora. Le sfumature delle vesti dei faraoni, l’avvoltoio dalle ali azzurre, la colonna di nemici sconfitti e a capo chino in un’ impressionante colorazione rosso sangue, i mille copricapi dei nobili e l’infinita processione di animali e dignitari in colori accessi e sfavillanti.
Incredibile, veramente incredibile che tutto questo sia rimasto quasi intatto per oltre 3000 anni, ma la foresta di colonne alle spalle del porticato maggiore e’ li ad indicare che il tempo e’ trascorso anche qui, riducendo gran parte degli edifici in rovina, lasciando pero’ intravedere, con i suoi affreschi, una parte di se’ e del suo remoto splendore, uno spiraglio che ci permette ancora oggi di viaggiare nel tempo e intuirne la passata grandezza.
Il taxi fa lentamente ritorno sulla sponda dei vivi lasciando al suo passaggio una piccola nuvola di sabbia dentro la quale si addensano gia’ i ricordi di questo viaggio; non riesco neanche a fare mente locale su cio’ che mi ha piu’ colpito tanto confuse sono le immagini che vedo formarsi. Forse Abu Simbel, forse le piramidi , forse la tomba di Sennefer o il trono di Tutankhamon o forse piu’ semplicemente tutto questo paese e i suoi innumerevoli tesori di epoche talmente lontane da noi da essere quasi preistoria, eppure allora piu’ di adesso si riusciva a cogliere da vicino il legame profondo dell’uomo con la natura, riuscendo probabilmente anche a ricreare il cielo sulla terra, proprio su questa terra: l’Egitto.

GRAZIE MILLE ANDREA PER IL TUO RACCONTO DAVVERO APPASSIONANTE E COMPLETO.